“Belvedere Estivo Tour”: Galeffi racconta il ritorno sui palchi dopo la pandemia

“Belvedere Estivo Tour”: Galeffi racconta il ritorno sui palchi dopo la pandemia
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Galeffi, uno dei maggiori esponenti dell’indie pop italiano, ritorna sul palco per presentare il suo nuovo album “Belvedere” dopo un lungo periodo di stop dovuto al Covid 19

Galeffi torna a casa, nel suo “Belvedere”, per due nuove tappe estive dopo il successo delle date invernali. Il 13 settembre, infatti, si esibirà con la sua band al Circolo Magnolia di Milano e il 14 settembre a Roma, nella venue estiva di Villa Ada, per presentare i pezzi del suo ultimo album.

Il disco che dà il nome al tour ribadisce la sensibilità della penna di Galeffi che, in ogni verso, riesce a mettere in luce una delle infinite sfaccettature della sensibilità umana. Divincolandosi dalla musica leggera più banale tramite un’estrema cura nella scrittura e nella produzione, presenta un pop di qualità che fa della semplicità la sua virtù principale. La pausa imposta dagli eventi esterni che ha mandato a monte il tour di presentazione dell’album “Settebello”, ha dato un’ulteriore spinta emotiva al cantautore romano.

Il 14 settembre ti esibirai nella tua città natale, a Villa Ada, che tipo di scaletta proporrai per questa data?

Faremo il “best of” dei tre dischi. Arriviamo collaudati da un tour in cui ho più volte cambiato scaletta per arrivare a quella definiva che, secondo me, è quella migliore per noi e per il pubblico. Speriamo di soddisfare le persone che verranno a sentirci.

Il romanticismo è una caratteristica che attraversa un po’ tutti i tuoi album. Com’è stato parlare d’amore, adesso, con “Belvedere”, dopo una pandemia, rispetto al 2017 con “Scudetto”?

Sicuramente la pandemia è stata una “mazzata” per me: ha mandato a puttane tutto il lavoro di “Settebello” disco perché il tour non c’è mai stato. È stata una fase molto pesante. Al di là del fatto che eravamo in lockdown e, anche solo umanamente, è stato pesante per tutti, per chi fa il mestiere del musicista, non poter fare il proprio lavoro è ancora più difficile da accettare.

Uno fa i dischi anche per poi suonarli, riprendere l’energia che ti danno i concerti, il pubblico. Vai in debito di energia nel momento in cui scrivi i pezzi e recuperi quell’energia al concerto. È uno scambio osmotico da io che scrivo i pezzi e cedo una parte di me ai miei fan, alle persone che ascoltano, per poi recuperare queste energie durante il tour. È psicologicamente difficile non suonare per quattro anni.

Per quanto riguarda il romanticismo nei dischi, ho avuto una relazione molto lunga che si è interrotta quando avevo appena iniziato a scrivere “Belvedere” (autunno del 2020) ed è stato doppiamente faticoso, almeno per i primissimi tempi. Da solo a casa, non potevi suonare, single: è stato un momento difficile che si è trasformato in benzina per scrivere i pezzi. Uno deve cercare di vedere sempre il lato positivo.

Dai commenti che ti sono arrivati, pensi che il romanticismo sia accolto in maniera diversa dal tuo pubblico rispetto a qualche anno fa, rispetto al periodo pre-Covid?

La gente, magari, non va a vedere solo il romanticismo, guarda un po’ all’insieme delle emozioni e alla totalità del disco. La cosa che mi è invece arrivata guardando in faccia i fan durante i concerti, durante tutto il tour fino ad oggi è che la mia scrittura è cambiata perché sono cambiato io come essere umano. È impossibile non cambiare.

La cosa che è rimasta intatta è la fiducia, l’amore che noto nei miei confronti e il fatto che in molti mi dicono: ”La canzone della mia cotta era una di “Scudetto”; “In pandemia, mi hai fatto compagnia con quest’altra traccia”; “Adesso che ho cambiato città, sei stato la mi colonna sonora con quest’altra canzone”. Il fatto che i miei fan crescano con me è una cosa molto sana. È un passo molto importante per me da un punto di vista di responsabilità nei loro confronti, di fare sempre più del massimo perché so che il mio pubblico si fida di me ed io non posso deluderlo.

Qual è il segreto per scrivere dei pezzi pop ed orecchiabili come i tuoi senza cadere nell’itpop che viene spesso considerato qualcosa di qualitativamente basso?

Non so se ci sia una ricetta per non fare l’errore di fare una canzone di livello basso per la critica o per la gente. Quando scrivi un pezzo speri che la canzone possa essere accolta, possa essere capita, che la gente riesca a rispettarla perché dentro ci sei tu e ci sono dei giorni/mesi/settimane di lavoro dietro ogni traccia: riunioni, dubbi su una parola, su una frase, su un accordo, su uno strumento. Poi, tendenzialmente, quasi tutta la fase di produzione la svolgo io, magari passo proprio giornate intere a capire se è meglio una batteria piuttosto che un basso, un accordo, una nota di piano…Ci perdo molto tempo, sono un nerd.

La canzone, prima di tutto, deve convincere me perché io devo essere il mio primo fan: questa è una legge mia, non so se sia la legge degli altri e francamente non mi interessa. Ho sempre tante aspettative anche nei miei confronti, metto sempre degli obiettivi super alti che però non mi spaventano. Cerco di puntare a dieci perché, se punto a dieci e cerco, nella mia testa, di fare il più possibile, magari riesco ad ottenere sei, sette, otto. Poi non tutto dipende da me, ci sono vari incastri discografici affinché poi le cose possano andare bene.

Tutto ciò che è in mio potere è scrivere le canzoni nel miglior modo possibile, arrangiare nel miglio modo possibile e creare un’atmosfera positiva tra me e la band, tra me e lo staff che mi segue. Per adesso, la musica sta diventando sempre di più “usa e getta”, escono tantissime canzoni di ogni artista, trascorre poco tempo tra un’uscita e l’altra e, molto spesso, quando è così, vuol dire che si fanno canzoni velocemente.

Magari è perché sei molto bravo, ma certe volte è perché un po’ ti accontenti. Difficilmente uno scrive, arrangia, produce e pubblica una canzone in meno di cinque/sei mesi; è praticamente impossibile per le tempistiche. Esistono progetti, cantautori, non solo dell’itpop, ma anche di altre sfumature musicali, che producono musica, tantissima musica. Io non riesco a ritenerli così credibili, ma magari è un mio limite e sono troppo vintage

Il tuo percorso artistico si è sviluppato a cavallo tra gli anni ’10 e ’20 che è lo stesso periodo nel quale si è assistito al successo e al declino dell’indie pop; pensi che questo andamento del mercato musicale abbia inciso sul tuo progetto dal punto di vista commerciale?

Un po’ sì. Prima, nel momento in cui c’è stato l’exploit, mi sentivo (ma in realtà mi ci sento ancora) conscio del fatto che le mode passano e che in qualche maniera dipenda anche da me e da vari altri fattori. Sicuramente, in quel momento, anche per via dell’età e dell’ingenuità che stava dietro quell’inizio e che sta dietro gli inizi in generale, ci sentivamo parte di qualcosa simile ad una rivoluzione musicale. È successa una cosa importante che ha cambiato la storia della discografia.

Adesso la moda è un po’ cambiata, c’è molta più televisione nel mercato discografico ed è diventata sempre più importante negli ultimi anni. Sono diventati importanti molti generi (vedi l’urban, la trap, il rap), ma anche questa è una moda e, come tutte le mode, finirà, cosa che non fanno le canzoni. La gente ha bisogno sempre di una nuova canzone da ascoltare. C’è ancora modo di continuare a fare una rivoluzione, magari meno modaiola, ma non per questo meno romantica.

Oltre al tour, hai altri progetti in programma?

In questo momento il mio focus è su queste ultime date che sono importanti. È ovvio che mi prenderò una pausa, ma giusto per far riposare orecchie, cuore e mente, a seminare un po’ di vita e tirare giù delle nuove canzoni. Già ci sto lavorando, ma fino a quando sei ancora “incastrato” nel tour che chiude il cerchio del disco precedente, non sei totalmente focalizzato sul futuro. Aspetto queste date con entusiasmo e piano piano mi metterò in moto.

“Nirvana Van Gogh” è l’anticipazione di qualcosa?

No, avevo voglia di far uscire, a distanza di un anno da “Belvedere”, una canzone nuova mia, da solo, e “Nirvana Van Gogh” era una canzone nata qualche tempo prima. Di sicuro non è un’hit estiva perché non le so scrivere, ma di sicuro è una canzone luminosa.

Ho chiesto di far uscire il brano perché era un anno che non usciva nulla, c’è gente che non aspetta più di due mesi per fare un pezzo e direi che dodici fossero sufficienti. Avevo voglia di far uscire un’altra canzone che avesse dei colori simili a “Belvedere”, ma magari leggermente più dolce.

a cura di
Lucia Tamburello

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