“First Two Pages Of Frankenstein”: i The National risorgono dalle loro ceneri

“First Two Pages Of Frankenstein”: i The National risorgono dalle loro ceneri
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A distanza di quattro anni dall’ultimo album in studio, i The National tornano a percorrere la strada battuta dopo un periodo di buio

Poche band hanno saputo conquistare nei cuori dei più appassionati dell’indie-rock come i The National, nei loro venticinque anni di onorata carriera con ben nove album all’attivo.

Purtroppo però anche i gruppi apparentemente più navigati possono essere messi in crisi. Il cantante Matt Berninger ha infatti dichiarato in un’intervista al The Guardian che negli ultimi anni ha vissuto una fase di depressione in cui non riusciva a scrivere. Ma dal fondo dell’abisso, Matt è riuscito a intravedere la luce e a risalire grazie all’aiuto delle persone care, dando vita a un album introspettivo certo, eppure pronto ad essere condiviso emotivamente con gli altri. 

Di problemi e fragilità

L’album vanta alcune collaborazioni ambiziose, perfettamente allineate allo spirito della band, in quelli che risultano essere alcuni dei brani più riusciti del disco. Parliamo di artisti del calibro di Sufjan Stevens nel brano “Once Upon a Poolside”, Taylor Swift in “The Alcott” e una doppietta con Phoebe Bridgers in “This Isn’t Helping” e “Your Mind Is Not Your Friend”, che sono riusciti a riempire e completare le canzoni senza mettere in secondo piano i The National.

“First Two Pages Of Frankenstein” è un album sincero, un racconto introspettivo di esperienze di vita, tra momenti più energici come quelli di “Tropic Morning News” e altri più riflessivi come in “Eucalyptus”

Leggerezza e malinconia, senza fronzoli, dolce come le carezze e duro come i rimproveri di un padre.

D’altronde, diversi anni fa in America è diventata popolare la definizione “Dad-rock” che ben si addice ai The National, nata da una recensione di un album di Wilco.

Un rock introspettivo e minimale

Certo diciamocelo: i The National non sono facili da digerire per tutti, ma restano i paladini della generazione dei nuovi adulti della middle-class (riuscite a immaginare l’ascoltatore tipo, nella sua “New Order T-Shirt”?), affezionati a queste calde docce indie di realtà. No, non fredde, perché il cantato e il sound sono sempre morbidi, leggeri, delicati.

Niente di nuovo ed eclatante in casa The National, che tornano a percorrere la strada conosciuta in termini di produzione artistica, ma in una versione più matura e rassicurante. Con la confortevole certezza per i nostri sad dads (e per i loro fan) che non è ancora tempo di farsi da parte nel panorama indie-rock.

a cura di
Chiara Serri

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Chiara Serri

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