Tyre Nichols, un afroamericano pestato a morte da agenti afroamericani

Tyre Nichols, un afroamericano pestato a morte da agenti afroamericani
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Il 29enne afroamericano Tyre Nichols è stato pestato a morte da cinque poliziotti. Sembra l’ennesimo pestaggio di matrice suprematista bianca contro uomini di colore in Usa, ma i cinque agenti di polizia erano afroamericani

A Memphis, in Tennessee, un 29enne afroamericano è morto a seguito del pestaggio di cinque poliziotti. La morte di Tyre Nichols avveniva a tre giorni dalle colluttazioni a causa delle ferite riportate.

L’episodio ricorda la tragica morte di George Floyd, afroamericano di 46 anni, avvenuta a Minneapolis, in Minnesota, il 25 maggio 2020, ancora per mano di un poliziotto. “I can’t breathe” le ultime parole dell’uomo immobilizzato a terra dall’agente Derek Chauvin, che per nove minuti aveva premuto le sue ginocchia contro il collo di Floyd, provocandone la morte per asfissia.

Anche Michael Brown, Breonna Taylor, Eric Garner sono morti per mano della polizia statunitense, e nessuno di loro era armato al momento del fermo. Secondo un report del Washington Post, lo scorso anno il numero di morti provocato dagli agenti di polizia negli Usa ammontava a 1055, una cifra in aumento rispetto alle precedenti e la più alta dal 2015. Di quel migliaio, gran parte apparteneva alla comunità afroamericana.

Tyre Nichols, 29 anni, morto il 10 gennaio 2023, tre giorni dopo il pestaggio subito dagli agenti di polizia di Memphis. Fonte: The New York Times.
La città di Memphis 

Una lunga tradizione di disuguaglianze informa la storia sociale degli Stati Uniti. È una storia che ha tappe in genocidi, pratiche di schiavitù, segregazione e ghettizzazione delle minoranze. Una storia che ha forgiato le periferie escludenti delle città statunitensi e l’immaginario dei suprematisti bianchi.

Da questa prospettiva, la natura discriminatoria dell’omicidio di Tyre Nichols è di difficile lettura: anche i poliziotti che l’hanno percosso al punto di provocarne la morte erano afroamericani. A Memphis, infatti, più del 60% della popolazione è nera. Se non bastasse, la città – nota per essere la culla di Elvis Presley – fu l’ultima a vedere Martin Luther King, Premio Nobel per la pace, raggiunto da un colpo di fucile mentre si trovava sul balcone del Lorraine Motel il 4 aprile del 1968. Proprio in onore dell’attivista, Memphis ospita il National Civic Rights Museum, museo della storia del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti.

Sulla carta, Memphis non avrebbe dovuto fare da sfondo all’omicidio efferato di un afroamericano.

Abuso di potere e razzismo istituzionale

I cinque poliziotti che hanno ucciso Nichols facevano parte dell’Unità Scorpion. L’acronimo sta per Street Crimes Operation to Restore Peace in Our Neighborhoods. Quest’unità specializzata fu lanciata a novembre 2021 per ridurre la criminalità nei quartieri più sensibili della città, che quell’anno ha visto il numero di omicidi schizzare alle stelle. Memphis, in linea con altre città statunitensi, rispondeva ai tassi galoppanti di criminalità con azioni punitive e interventi di contenimento.

Ma la lotta alla criminalità fa presto a diventare criminale, la violenza da contenere immaginaria, e l’azione della polizia mortale, in ragione del razzismo istituzionale e dell’abuso di potere che attraversano le istituzioni locali. Un’istituzione intrisa di ideologia razzista respinge il sentimento di appartenenza, divide le comunità. La forza delle sue idee condiziona al punto che il senso del limite sbiadisce, aprendo la strada ad un abuso sistemico del potere.

I cinque poliziotti di Memphis, prima d’essere afroamericani, sono poliziotti.

Demetrius Haley, Tadarrius Bean, Justin Smith, Emmitt Martin III, and Desmond Mills Jr. I cinque poliziotti, ora accusati di omicidio. Fonte: Insider.
Il cinema che ne parla

Nel 2021, Two Distant Strangers (Due estranei, nella versione italiana), diretto da Travon Free e Martin Desmond Roe, vinceva l’Oscar per il miglior cortometraggio.

Nel corto, il giovane protagonista afroamericano Carter incontra una ragazza, Perri, con cui trascorre la notte. Al mattino, Carter lascia l’appartamento di lei per ritornare a casa, dove lo aspetta il suo cane Jeter. La cornice è quella della città di New York. Carter fa appena in tempo a lasciarsi alle spalle il portone dell’edificio, avanzare di qualche passo sul marciapiede e accendere una sigaretta, che un poliziotto lo ferma. Ne consegue una colluttazione che ha fine con la morte di Carter per soffocamento.

Carter morirà ancora e ancora: non farà che sognare la sua morte per dieci, venti, cento volte. Ogni volta, il poliziotto bianco troverà un nuovo pretesto per colpirlo a morte, non importa ciò che Carter farà o mancherà di fare per non disturbarlo. Per un poliziotto bianco, qualsiasi scusa è buona per abbattersi contro un nero.

Blaming the victims

In Two Distant Strangers, Carter e il poliziotto condividono un pezzo di strada in macchina, in uno di quei tentativi sognati dal protagonista di riscrivere le proprie sorti.

Carter dice:

“Voi [si riferisce agli agenti, ndr] presidiate i nostri quartieri, applicate pene severe, ci rinchiudete a vita, per cose su cui i bianchi scherzano nelle loro autobiografie. Siamo bloccati in una spirale infinita.”

Il poliziotto gli risponde:

“Ma dai, man. Ognuno è responsabile delle proprie azioni. Anche se si tratta di crimini.”

È un passaggio che descrive bene una lettura della povertà alla Lewis, antropologo statunitense: chi nasce povero è destinato ad esserlo, a comportarsi, agire, pensare come un povero socialmente inteso, compiendo ripetutamente la scelta di rimanere povero.

Così non esiste margine d’azione in contesti di miseria e, se esiste, quel margine è intriso di colpa quindi di punizione, secondo l’attitudine alla colpevolizzazione della vittima che abbraccia la logica del blaming the victims. È seguendo questa strada che si arriva all’istituzione di unità di Polizia come Scorpion, che non agiscono per l’empowerment dei più deboli – quelli veri o immaginati –, ma per il loro annichilimento.

Tyre Nichols è stato ucciso dal milieu culturale delle istituzioni statunitensi.

a cura di
Federica Valzani

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