Intervista a Pietro Fiocchi: tra ambiente e sanità

Intervista a Pietro Fiocchi: tra ambiente e sanità
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Pietro Fiocchi, classe 1964, è stato eletto nel 2019 alla carica di europarlamentare. Appartenete al gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei fa parte della Commissione parlamentare europea per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare.

Noi di The Soundcheck l’abbiamo intervistato per parlare dell’aria che si respira in Europa e delle azioni concrete che gli Stati membri hanno bisogno di compiere.

La caccia è al centro della sua comunicazione, qual è invece la sua posizione in merito agli allevamenti intensivi. Le due cose sono in qualche modo correlate?

Sugli allevamenti intensivi la posizione europea è ovviamente critica e da un certo punto di vista sono d’accordo. Per quanto riguarda la gestione aziendale, l’allevamento intensivo è sicuramente più efficiente ed economica. Se parliamo di qualità ovviamente non è così. Gli animali vengono tenuti in ambienti stressanti ed il loro benessere non è al centro. Un animale ammassato in un capannone non vive bene e le conseguenze negative si riversano anche sulla qualità della carne e del latte. 

Ci sono tra l’altro iniziative bellissime, una in Valtellina ad esempio, di start up di giovani che lavorano solamente con piccoli allevamenti di montagna. Vivono in uno stato “semibrado” e macellano la carne solo nel momento in cui arriva l’ordine. In questo modo la qualità è alta e non si rischia che il cibo vada in scadenza, in Europa abbiamo infatti percentuali spaventose di cibo sprecato

Sicuramente sarebbe bello non avere allevamenti intensivi. Ma di contro al momento sarebbe impossibile gestire la domanda delle popolazione europea esclusivamente con i piccoli allevamenti di montagna, per cui va cercata una via di mezzo. Sicuramente si potrebbero trovare ed applicare nuove leggi per rendere gli allevamenti meno intensivi, ma comunque produttivi

Ha una posizione in merito al fatto che un consumo elevato di carne renda più esposti al rischio di tumori?

Io sono stato relatore della strategia europea contro il cancro ed uno dei capi saldi è ovviamente la prevenzione. Era indicato nero su bianco che il consumo di carne rossa, non tutti i tipi di carne, di alcuni tipi di formaggi, ovviamente degli alcolici ed il fumo possano portare ad un aumento del rischio di tumori.

Detto questo, la letteratura scientifica su vino, carni rosse ed altro da dei risultati meno precisi rispetto a quella sul fumo. Il consumo controllato di questi alimenti può anche avere degli effetti positivi, l’uomo è di fatto onnivoro. Esistono anche studi che dicono che togliendo completamente la carne dalla dieta si potrebbero riscontrare dei problemi di salute, soprattutto in giovane età. È sempre una questione di bilanciamento, di non esagerare né da un lato né da un altro. 

Negli ultimi anni abbiamo visto aumentare i disastri ambientali in Italia ed in Europa. Secondo lei l’Unione Europea sta facendo abbastanza per arginare il problema e quale dovrebbe essere la priorità dell’Italia in questo senso? 

Indubbiamente assistiamo ad un cambiamento climatico, ed a precipitazioni molto più forti e violente rispetto a vent’anni fa. Questo aumenta la possibilità di un disastro idrogeologico, cosa a cui l’Europa è finalmente più attenta. Una delle mie battaglie è stata, infatti, quella di far riconoscere il rischio idrogeologico ai paesi meno afflitti da questo fenomeno, ed inserirlo così nel documento della protezione civile unionale.

Una della ragioni per cui mi occupo tanto delle comunità rurali, soprattutto quelle alpine, è che stiamo assistendo ad uno spopolamento di queste zone, che è anche negativo da questo punto di vista. Se questi territori sono abitati da gente che cura i boschi, i sentieri, che ha gli animali che brucano, il rischio di frane e disastri si abbassa. 

Una risposta unica non esiste. Sicuramente l’Europa ha stanziato più fondi e finalmente ha recepito il concetto di prevenzione sul rischio idrogeologico, prima i fondi invece arrivavano solo a disastro avvenuto. Questo è stato un passaggio molto importante, anche dal punto di vista economico.

Noi in Italia abbiamo sicuramente tanto lavoro da fare. È un lavoro davvero complesso e che richiederà molti anni quello di andare ad intervenire su tutti i punti a rischio. 

Pensa che l’European Green Deal sia realistico? 

Secondo me no. Tutti i file che componevano il Green Deal, si basavano principalmente su degli accordi presi precedentemente di cui non erano stati raggiunti gli obiettivi. Sono stati quindi ripresi e raddoppiati, con la speranza di far meglio. 

Negli ultimi anni è stato più evidente quanto siamo dipendenti dall’esterno, non solo per quanto riguarda il gas, e c’è stato un cambio di direzione molto positivo. Tanti Stati hanno fatti investimenti considerevoli sulle energie rinnovabili, che in teoria erano già stati previsti dal Green Deal ma presi sottogamba

Pietro Fiocchi
Gli ultimi anni quindi non hanno rallentato, ma accelerato il processo verso le rinnovabili? 

Devi pensare che i tempi di reazioni dei singoli Stati membri rispetto a quello che succede in Europa sono più lenti. Io sto parlando del feeling che si sente all’interno della commissione e in alcuni governi con cui collaboriamo, come quello finlandese o svedese. Si sente questa spinta forte verso le rinnovabili e le tecnologie che hanno l’emissione delle CO2 a zero

Cosa ne pensa della nuova legge che vieterebbe la vendita in EU di prodotti che causano deforestazione? 

Quel documento è partito molto bene. È ovvio il correlamento tra deforestazione ed effetti negativi sul clima, anche perché le foreste sono tra i più grandi assorbitori di CO2 che esistono.

La cosa è poi un po’ deragliata, perché è stato messo insieme un sistema estremamente complicato di controllo dell’agricoltura ed è stata aggiunta la protezione della biodiversità.

Io da persona pratica avrei detto: questa è quanta foresta abbiamo, aumentiamola ogni anno dello 0,5 % senza mai andare indietro e vediamo cosa succede in dieci anni. Il problema delle cose estremamente complicate e che poi si fa molta fatica ad applicarle, o vengono applicate male e con conseguenze pesanti anche per l’economia. L’Europa, inoltre, non ha abbastanza forza politica per poter imporre le sue scelte interne agli Stati esterni.

Hanno quindi ragione, in questo senso, Stati come la Cina e l’India a ritenere che non sia giusto imporre loro i nostri ritmi, avendo una storia industriale completamente differente dalla nostra?

In realtà uno deve calarsi nei panni del cittadino del mondo, del pianeta. L’Europa al momento ha emissioni che viaggiano tra i 7 e l’8 % del totale dell’emissione di CO2 del pianeta, anche se dovessimo ridurle a zero non avremmo cambiato di tanto la fotografia dell’insieme.

Mentre una riduzione solo del 20 o 30% delle emissioni di Cina o India, cambierebbe sensibilmente la situazione. Sono però equilibri politici molto delicati e complessi. Dobbiamo con pazienza e grande diplomazia far capire loro che è nell’interesse di tutti diminuire queste emissioni.

A cura di
Andrea Romeo

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