Cowboy Bepop, il peso del passato

Cowboy Bepop, il peso del passato
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Disponibile dal 19 novembre su Netflix, “Cowboy Bepop (2021)” è l’adattamento live action dei produttori e sceneggiatori statunitensi André Nemec e Christopher Yost dell’omonimo anime di Shinichiro Watanabe

Uscita nel 1998, la serie tv composta da 26 episodi è ancora oggi un cult per molti appassionati di anime ed è da poco tornata disponibile su Netflix piazzandosi, stabilmente da settimane, ai primi posti della classifica dei titoli più gettonati del momento.

Ambientato nel 2071, in un futuro distopico, l’anime è incentrato sulle avventure dell’equipaggio della nave spaziale “Cowboy Bepop” sui cui viaggiano i due cacciatori di taglie Spike Spiegel e Jet Black. A loro, con il prosieguo delle puntate, si uniscono il cagnolino Ein, Faye Valentine, una truffatrice perseguitata dai suoi creditori, e la giovanissima hacker terrestre Edward Wong, conosciuta da tutti semplicemente come Ed.    

Cowboy Bepop, avventure spaziali a ritmo di jazz

Al primo approccio con la serie, colpisce l’eterogeneità della colonna sonora realizzata dalla musicista Yoko Kanno e dalla sua band The Seatbelts. Le musiche in questo caso non sono un semplice elemento di contorno ma scandiscono il ritmo delle avventure. Impossibile non essere coinvolti dalle musiche.

Chi non ha schioccato le dita a ritmo di musica quando parte l’opening, mente con ogni probabilità. Una colonna sonora che unisce in maniera egregia diversi generi e sonorità: dal jazz bepop al country, passando per il blues e il rock. Una colonna sonora, inoltre, che contribuisce ad approfondire la caratterizzazione dei personaggi e il clima emotivo delle ambientazioni.

Il peso del passato

Dalle prime puntate di Cowboy Bepop ci si potrebbe aspettare una serie ricca di entusiasmo e intraprendenza, ingredienti fondamentali per un prodotto che parla di avventure e viaggi spaziali. Alcuni siparietti ironici sembrerebbero anche suggerirlo. Sulla scia, insomma, della ciurma di un’altra nave, quella di cappello di paglia uscita giusto un anno prima dell’opera di Watanabe. Eppure, con il proseguire degli episodi, questa euforia scema.

Nella cornice narrativa dove a prevalere è la trama verticale e autoconclusiva degli episodi, si delinea una trama orizzontale parallela. Watanabe rivela, a poco a poco, particolari e retroscena dei suoi personaggi, ognuno con i propri scheletri nell’armadio. Jet è un ex poliziotto con alle spalle delle brutte disavventure con i colleghi e una separazione, non poco dolorosa, dalla sua compagna.

Spike invece faceva parte di un’organizzazione criminale, Red Dragon, con la quale, come si ha modo di scoprire, non ha reciso del tutto i legami. Così come non ha del tutto reciso i legami con Julia, misterioso personaggio femminile.

Ed, un personaggio che rompe gli schemi

Sui protagonisti gravano come macigni vicende ed esperienze passate che non sono riusciti superare o a metabolizzare. Il passato li tormenta e loro non riescono a voltare pagina, anche se, come nel caso di Faye, il passato costituisce un periodo buio di cui non si ha memoria.

Nella seconda metà delle serie, l’arco narrativo di Faye sarà incentrato soprattutto su questo aspetto: scoprire le sue origini in quanto ha passato 54 anni in animazione sospesa e non conserva ricordi precedenti al suo risveglio. L’unico personaggio che rompe questo schema del “tormento del passato” è la giovane Ed. Ed è uno spirito libero, allegro e ingenuo. Per lei entrare a far parte della Bepop è un’opportunità per viaggiare e vivere nuove avventure.

Un approccio diametralmente opposto a quello dei suoi compagni. Sulla nave prevale il tedio, la noia e la mancanza di dialogo tra i suoi componenti. Se all’inizio si potrebbe pensare che ci sia una sorta di rapporto di amicizia, una ‘bromance’ tra Spike e Jet, il prosieguo della storia ci smentisce. Il loro è un rapporto più che altro lavorativo dettato dalla necessità di collaborare.

Ognuno è preso dai traumi del proprio passato, una condizione che scava delle nette distanze tra i personaggi e crea dei muri di incomunicabilità. Soprattutto, l’equipaggio è costantemente in apprensione per la scarsità di denaro: se non riescono a catturare dei ricercati e riscuotere le loro taglie devono purtroppo rinunciare a mangiare. Anche la fame li tormenta.   

Cowboy Bepop, un viaggio senza meta

È in questo clima apparentemente entusiasta e avventuroso che Watanabe riesce a raccontare una storia di frustrazione e solitudine. E riesce a farlo in maniera ‘carsica’ non esplicitandolo da subito. Sotto questo aspetto, la struttura narrativa aiuta molto.

Quelli che possono sembrare 26 episodi autoconclusivi senza un vero e proprio filo logico principale si rivelano un mosaico ben preciso al termine delle ultime due puntate. Alla fine, i nodi vengono al pettine aiutandoci a vedere in maniera differente i comportamenti dei personaggi.

Lo stoicismo di Spike: convinzione o insicurezza?

Spike, indubbiamente uno dei character più cool di Cowboy Bepop con il suo sarcasmo e il suo stoico distacco, assume nel finale una luce diversa. La sua indifferenza non è il frutto del suo ‘essere figo’ quanto della sua incapacità di accettare il proprio passato e affrontarlo. Una delle sue citazioni più conosciute è “Whatever happens, happens”.

Lo dice mentre si accende l’ennesima sigaretta e sta per precipitare sulla Terra con uno shuttle. Una scena emblematica della serie condivisa ancora oggi con orgoglio dai fan. In italiano è stata tradotta con “Seguiamo il corso degli eventi” e per quanto possa essere vista come uno sfoggio di “coolness” da parte di Spike è forse la scena che più di tutte esprime l’incapacità del personaggio di reagire alle avversità.

Spike è avviluppato su stesso e sui suoi traumi al punto tale che non prova il minimo interesse per gli altri perché innanzitutto non dà importanza nemmeno a se stesso.

Perché guardare Cowboy Bepop oggi

Dopo oltre venti anni dalla sua creazione, può risultare ancora interessante guardare Cowboy Bepop perché offre diverse chiavi di lettura. Può affascinare un pubblico più giovane grazie ai suoi spettacolari combattimenti e alle sue ambientazioni spaziali distopiche ma anche conquistare un pubblico più adulto.

Questo grazie al modo in cui sono curati i rapporti tra i personaggi. Cowboy Bepop è una storia che parla di solitudine, ansia per il futuro, insoddisfazione per il presente e dell’incapacità di accettare il proprio passato.

Un’opera che si inscrive di diritto tra i migliori prodotti di animazione degli anni ’90, una vera e propria golden age per l’animazione nipponica. Basti pensare a titoli come Neon Genesis Evangelion, Ghost in the Shell, Slam Dunk, Nadia e il mistero della pietra azzurra e tanti altri ancora. Un’epoca in cui l’animazione giapponese ha raggiunto una sua maturità.

a cura di
Angelo Baldini

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Angelo Baldini

Nato a Napoli nel 1996 studia Giornalismo e cultura Editoriale presso l'Università degli studi di Parma. Collabora con Eroica Fenice di Napoli e con ParmAteneo. Crede in poche cose: in Pif, in Isaac Asimov, in Gigione e nella calma e nella pazienza di mia nonna Teresa.

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