The Clash: white riot, black riot
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Se parliamo di punk la mente corre a Londra, sul finire degli anni ’70, quando le strade della capitale britannica erano piene di giovani che volevano fare sentire la loro voce.
Il periodo storico non è dei più rosei: il razzismo è all’ordine del giorno e, in prossimità delle elezioni, il National Front il partito di estrema destra rischia di risquotere un grande successo.
Qua e la si fanno sempre più forti i richiami alle ideologie naziste e per questo motivo iniziano a nascere associazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema.
E’ grazie a Rock Against the Racism e l’Anti Nazi League che il 30 maggio 1978 viene organizzato un grande concerto al Victoria Park di Londra ed è forse grazie a questo evento che la musica punk abbandona le tendenze nichilistiche degli albori per politicizzarsi sempre più.
Un gruppo più degli altri è riuscito a far sentire la sua voce, a usare la musica come un arma per combattere le proprie battaglie: The Clash.
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Forse, proprio per questo motivo, Ono Arte Contemporanea, nella sua sede di Bologna, ha deciso di ospitare una rassegna dedicata a Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon.
La mostra dal titolo Clash: White Riot, Black Riot racconta la band attraverso gli scatti di Adrian Boot e sarà possibile visitarla da 12 giugno al 15 settembre.
Nonostante siano passati più di 30 anni da quando i Clash incendiavano le scene musicali mondiali, da quando London Calling ha invaso le radio, oggi più che mai la loro musica e la loro ribellione sono attuali.
I Clash hanno fatto la storia, hanno messo a ferro e fuoco il mondo, incitando le persone a portare avanti le loro battaglie.
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Fin al loro primo dingolo White Riot appare chiara la loro ideologia e la loro missione: dare una voce a tutti. Non si tratta solo di una canzone ma di una sorta di inno che incita i giovani a portare avanti una rivolta personale e collettiva.
Ma i Clash non sono solo punk, sono un misto esplosivo di generi diversi.
“Vorrei che non si dicesse che i Clash sono stati solo un gruppo punk. Il punk è uno spirito molto più ampio della musica grezza e semplice che solitamente si identifica con quella parola. I Clash sono stati un gruppo di fusione, non una band di genere. Abbiamo mischiato reggae, soul e rock and roll, tutte le musiche primitive, in qualcosa di più della somma dei singoli elementi. Soprattutto in qualcosa di pù del semplice punk di tre accordi.”
Strummer ci teneva a sottolineare questa cosa e quando la loro musica si è allontanata dal punk tradizionale i fan non sempre lo hanno apprezzato.
Non tutti, fin da subito, si sono resi conto della portata rivoluzionaria della loro musica. Eppure in 10 anni hanno lasciato il segno.
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La mostra ospitata a Bologna il cui ingresso è gratuto racconta i Clash visti dall’obiettivo non solo di Boot, fotografo che li ha seguiti nel corso della loro carriera dagli esordi al successo, ma anche di Syd Shelton e Pennie Smith.
I 40 scatti in esposizione a Bologna ci raccontano questa band che ha fatto della musica un arma e ha smosso, e continua a farlo ancora oggi, la coscienza di milioni di persone. Ognuno deve farsi sentire, la voce di chiunque è importante.
“Questo è il lascito che i Clash hanno trasmesso alle generazioni che sono venute dopo: lo spirito, l’impulso a cambiare, per continuare a guardare in faccia al futuro.”
Questa per Mick Jones, il chitarrista della band, era l’eredità che i Clash hanno lasciato ai posteri.
E noi non vogliamo essere ricordati come la generazione che non ha colto il loro lascito.
A cura di
Laura Losi