Sull’onda della giappomania che ormai imperversa anche alle nostre latitudini da tempo, la mia prima lettura del 2025 si è inserita in questo trend con estrema soddisfazione. Mi riferisco a Donnole in soffitta (2024) di Hiroko Oyamada, già autrice di altri due romanzi e insignita di diversi premi in Giappone. Ho amato a tal punto questa scrittura e allo stesso tempo ne sono rimasta così spiazzata che credo recupererò tutto quanto da lei scritto molto a breve.
Tre cene in Giappone
La trama è molto semplice: si tratta di un racconto in tre episodi, che ruotano tutti intorno a un pasto condiviso fra amici. Il primo si apre con la notizia della morte dell’amico Urabe comunicata alla voce narrante (di cui non conosciamo il nome) dall’amico Saiki. I due erano stati a cena da Urabe qualche tempo prima; in quell’occasione aveva presentato loro la sua nuova e giovanissima moglie e la loro bambina appena nata. La casa di Urabe era piena di vasche di pesci tropicali, la sua passione, e durante la cena aveva intrattenuto gli ospiti raccontando di uno stranissimo episodio: una bambina semi svestita che aveva colto, di notte, a rubare mangime per pesci nel magazzino del suo negozio. La morte di Urabe non viene spiegata.

Il secondo episodio vede sempre protagonisti il narratore e Saiki, insieme alle rispettive mogli. L’occasione è quella di una cena a base di “ottimo stufato di cinghiale” preparato dalla nuova moglie di Saiki, Yoko, e l’ambientazione è quella di un paesino sperduto sulle Alpi giapponesi. Durante la cena, si parla di un annoso problema, le donnole che infestano la soffitta della casa. La moglie del narratore racconta attraverso un ricordo di gioventù il rimedio piuttosto inquietante con cui i suoi nonni avevano risolto il problema.
Lo sfondo del terzo episodio è sempre la casa di Saiki e Yoko, dove il narratore e la moglie – che desidera tanto un figlio ma non riesce ad averne – si recano per vedere la loro bambina appena nata. A causa di una tempesta di neve, la coppia deve fermarsi per la notte. Una volta coricatosi, di nuovo in una stanza con diverse vasche di pesci tropicali, il narratore ha una visione piuttosto insolita – o forse, un “incontro” molto strano…
Il fascino del non detto
In passato, i libri che lasciavano punti in sospeso e non detti mi davano un gran nervosismo. Ora, sarà l’età o forse più propriamente il talento dell’autrice, in Donnole in soffitta e nella sua semplicità-non semplicità ho trovato un fascino senza eguali. Di certo l’ambientazione nipponica curata nel minimo dettaglio fa la sua parte; le cene sono un compendio di cibi giapponesi (accuratamente riportati nel glossario a fine libro) e le descrizioni, di case e arredamento, ci fanno sentire parte del racconto, quasi assistessimo a una piéce teatrale.

Ma è soprattutto l’atmosfera onirica, tratto distintivo della letteratura giapponese, che dona quella peculiarità a una storia apparentemente molto semplice. I pesci, le donnole, la bambina ladra misteriosa: sono tutte figure sospese fra realtà e immaginazione, riportate alla mente da ricordi e sogni che come ben sappiamo possono non essere completamente affidabili. I pesci in particolare, oltre a ricreare uno sfondo narrativo affascinante, diventano anche una metafora funzionale al racconto: quei dettagli narrativi che fluttuano, nuotano e rimangono in sospeso…
Essere genitori oggi
Il tema della genitorialità è assolutamente centrale nel racconto. Per quanto suscettibile di interpretazione, come del resto ogni elemento di questo libro, appare chiara la convinzione di volere essere madre propria di ogni personaggio donna e di trarre energia positiva da questo pensiero. Mentre la parte maschile del racconto vive con indifferenza e imposizione esterna il tema. Narrazione che, senza essere necessariamente così ripartita fra i sessi riflette molto bene i dubbi contemporanei sulla genitorialità (in Oriente come in Occidente).
Ormai lo avrete capito, Donnole in soffitta è un’opera estremamente particolare, sagace ma delicata, che ricrea in modo limpido un immaginario affascinante portandoci anche a riflettere su temi propri della nostra contemporaneità. Con un pizzico – un grande pizzico – di cultura culinaria, che male non fa mai!
a cura di
Martina Gennari
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