“Uniti”, il nuovo album dei Loren

“Uniti”, il nuovo album dei Loren
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Uscito questo 9 dicembre per Garrincha Dischi, l’ultimo disco della band di Firenze è un inno alla vita e, soprattutto, alla musica come veicolo di aggregazione da usare contro la solitudine che, negli ultimi anni, si è sempre più insinuata dentro di noi

“La nostra voglia di essere felici / Forse é vero che moriamo / Se non mettiamo radici”. Queste strofe prese da “Viva La Paura”, traccia di apertura del disco, sono quelle che meglio descrivono il messaggio che i Loren hanno voluto esprimere in “Uniti”, la loro ultima fatica discografica.

Nei 33 minuti e 53 secondi attraverso i quali il disco si snoda, la band fiorentina inneggia alla musica come veicolo di aggregazione restituendo importanza a tutto ciò che ci unisce e ci rende unici e umani. Giunto a quattro anni di distanza dal loro primo, omonimo album, “Uniti” dei Loren si compone di dieci tracce caratterizzate da continue contaminazioni sonore: dal Rock alla Musica Elettronica, passando per il Pop a persino il Gospel.

Quest’eterogeneità di sound si riflette anche nel gran numero di collaborazioni volute dalla band all’interno del disco. Primo fra tutti, Nicola Manzan, anima del progetto musicale Bologna Violenta. Oltre a lui hanno partecipato alle session di registrazione anche due ampie ensemble musicali come il coro dei Vocal Blue Trains e la Galantara Marching Band.

Una cooperazione artistica capace di sottolineare il messaggio di fondo presente in “Uniti”: l’importanza, soprattutto in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo, di creare un comunità un forte senso condivisione per ribadire la forza dell’unione che esiste tra esseri umani.

Ciao ragazzi! È un piacere avervi qui a The Soundcheck. “Uniti”, il vostro secondo lavoro, esce a quattro anni di distanza dal vostro disco d’esordio. Un lasso di tempo bello lungo. Cosa avete fatto durante questi anni?

Abbiamo trovato dolce il rimandare, complice la pandemia. Nonostante questo, sotto traccia siamo rimasti sempre attivi e connessi. Subito dopo l’uscita del primo disco abbiamo suonato un po’ in giro e poi ci siamo fiondati in vari studi di registrazione, appena potevamo, tra lockdown e positività per mettere su, e levigare, questo nuovo disco.

Il titolo dell’album può essere inteso come una vostra risposta al difficile periodo post-Covid dal quale, piano piano, stiamo cercando tutti di uscire?

Certo, hai colto il punto. Ci rattrista vedere quanto poco sia durato quel sussulto di speranza per un cambiamento radicale: l’avevamo intravisto nel periodo della crisi più nera, c’era stato questo “stringersi attorno” ma subito i giochi sono tornati gli stessi, soltanto peggiori, rattoppati, mezzo distrutti. Questo per quanto riguarda i discorsi generali e dall’alto, mentre sentiamo che dal basso c’è una voglia pulsante di partecipare, di uscirne insieme, noi vogliamo fare la nostra parte per tenere viva la fiamma.

Durante l’ultimo anno, calcisticamente parlando, abbiamo vissuto prima la gioia per la vittoria agli Europei poi la rabbia per l’esclusione dalla Coppa del Mondo. “Mondiali Fdc” è anche un po’ il vostro modo di sfogare la frustrazione per la Caporetto che sta vivendo la nostra Nazionale?

Qui si sconfina nella psicanalisi! Per quanto riguarda il nostro inconscio non ci mettiamo la mano sul fuoco. Ma onestamente non crediamo sia avvenuto questo, anzi, vuol essere un messaggio completamente positivo; la rivincita al femminile non deve avvenire sulle macerie maschili, di questo siamo pienamente convinti. E lasciateci dire che sappiamo gioire per il bel calcio, infondo siamo tutti esteti. Insomma, forza Marocco!

Firenze, la vostra città, tranne importanti parentesi come Litfiba, Diaframma, Irene Grandi e Marco Masini, non ha mai avuto una scena musicale compatta come altre città italiane. Secondo voi qual è il motivo?

Guarda i nostri ultimi 15 anni li abbiamo persi in questa analisi, potremmo produrre un saggio a riguardo! Diciamo che noi facciamo la nostra parte avendo fondato Fiore sul vulcano, un collettivo di musicisti e band, un’associazione culturale che si occupa di mettere insieme le energie dal basso, condividere esperienze, creare concerti e movimentare questa nostra città; l’idea è anche quella di creare una base anche per le generazioni più giovani.

Per rispondere alla tua domanda: crediamo che ci sia stata una mancanza nella politica, che arriva spesso tardi e a spot, da un pezzo la città è ben orientata su altri orizzonti e il Rinascimento non lo si considera come un fatto da far vivere costantemente, in atto, piuttosto è tenuto sotto vetro; poi c’è un discorso, collegato al precedente, di sfilacciamento del pubblico e degli addetti ai lavori, un discorso di provincialismo cronico nelle proposte, che trovano difficoltà ad agganciarsi alle realtà nazionali.

Detto questo gli sforzi sono tanti e arrivano da più parti, c’è un sacco di vita sotto traccia e ci sono proposte ottime, ci sono titani che non si piegano, ci sono emergenti che spadacciano contro l’esistente.

L’ottimismo è un filo conduttore che unisce i vostri due album. In un periodo come quello che stiamo vivendo, dove trovate la forza per guardare la realtà con la carica di positività presente nelle vostre canzoni?

Ma sai, è una nostra perversione! Crediamo che le canzoni debbano generare un altro mondo, granello dopo granello, altrimenti non ci saremmo mai messi a suonare e a scrivere. Santo Paul McCartney dice di aver avuto questa stessa tensione con i Beatles, riguardando alla sua produzione si ritiene felice di questo messaggio di fondo, che pervade tutto.

Ma se smettiamo un attimo di parlare delle divinità, e torniamo a noi, ecco noi la vediamo come una responsabilità ma anche come un gesto naturale, nell’incontro con l’altro ci si può sfogare o si possono creare tensioni ma c’è sempre quell’idea di un possibile salvataggio, di un’ inconfessabile, minima e momentanea redenzione: tutto questo per noi è la musica, tutto questo lo troviamo nei concerti, non ci sembra che sia energia nostra, piuttosto arriva sempre dal pubblico, noi proviamo solo a restituirla.

A livello di sound, avete cercato di unire la resa della registrazione in studio con la spontaneità di un’esibizione dal vivo. È stato difficile far combaciare questi due mondi?

Guarda è un percorso nel quale ci siamo lanciati, sebbene sia difficile abbiamo introiettato questa prospettiva e la portiamo avanti, ma allo stesso modo, a volte la tradiamo con grande facilità e senza nessun senso di colpa. Diciamo che in questo ci sentiamo abbastanza liberi e ci rendiamo conto che dal vivo le cose poi assumono sensi molteplici, non previsti, quindi non ha troppo senso avere idee precostituite di ciò che si deve fare in uno studio di registrazione.

Tra quanto potremo sentire i brani di “Uniti” dal vivo?

Tra pochissimo, stiamo lavorando per voi, e voi seguiteci!

a cura di
Luca Barenghi

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