11 novembre 2022 – Esce “Canzoni da odiare”, ce ne parlano gli Elephant Brain

11 novembre 2022 – Esce “Canzoni da odiare”, ce ne parlano gli Elephant Brain
Condividi su

Canzoni da odiare è il secondo disco della band made in Perugia. Un lavoro casalingo, costruito e “ragazzino”

Anticipato dai singoli “Anche questa è insicurezza”, “Neanche un’ora sveglio” e “Come mi divori”, “Canzoni da odiare” è il nuovo album degli Elephant Brain, registrato e mixato da Jacopo Gigliotti e masterizzato da Giovanni Versari, entrambi già dietro le quinte di “Niente di speciale”.

Cover di Canzoni da odiare

La prima cosa da mostrare di questo album è la Tracklist:

  1. pt. 1 (canzoni)
  2. Mi sbaglierò
  3. Neanche un’ora sveglio
  4. Come mi divori
  5. Anche questa è insicurezza
  6. Calamite
  7. Rimini
  8. Quel che resta
  9. pt. 2 (odiare)

Un’introduzione, sette pezzi e la sua giusta conclusione. Compatto, come dice il termine CD che è esattamente il suo nome: d’altri tempi. In un momento di revival del rock che guarda al passato, tra cover e sonorità, e che lascia fuori tutte le voci nuove.

Gli Elephant Brain rappresentano uno di quei gruppi che fanno rock in modo molto più spontaneo e genuino, e in questo c’è qualcosa di vintage. “Canzoni da odiare” si ascolta tutto d’un fiato, dall’inizio alla fine. Fa un discorso preciso e non divaga. Anche solo una traccia in più avrebbe potuto rovinare tutto. Ma non voglio dire altro, facciamo parlare i diretti interessati.

Ecco la nostra chiacchierata con Vincenzo Garofalo, voce e chitarra degli Elephant Brain. 

Foto credits: Stonks Production
“Canzoni da odiare”. Se dovessi fare tu la recensione di questo disco degli Elephant Brain, la prima cosa che diresti?

È un disco che abbiamo odiato, che ha visto la luce difficilmente per quanto riguarda il modo in cui è stato composto. Lo abbiamo scritto in isolamento, non durante la pandemia quando non c’era tanto da dire, le giornate erano vuote. Ma è la necessità di scrivere che ci ha portato a farlo in quel periodo. Non volevamo parlare del lookdown, non avrebbe avuto senso. Era la necessità in generale di scrivere musica.

L’antitesi dell’amore è la paura, quella cosa che ti immobilizza e ti fa scappare. Che ti fa vedere l’altro come un nemico. L’odio è più simile all’amore di quanto pensiamo, e non è solo una frase fatta. Come l’amore, l’odio ci avvicina all’oggetto di quel sentimento. Avvicina, gli Elephant Brain alle loro canzoni scritte a distanza. Quindi che vuol dire “odio” in questo disco?

Siamo talmente innamorati di quello che facciamo e di come lo facciamo di solito, che siamo arrivati a odiare queste canzoni. Per la loro diversità di composizione e creazione, non ci piace farlo così. Le abbiamo odiate perchè di solito scriviamo e suoniamo in sala prove, ed i pezzi escono così. Ma, nonostante l’odio ci piacciono e ci gasano e non vediamo l’ora di suonarli. Siamo stati risucchiati dai pezzi.

Le incertezze ed insicurezze di cui parliamo non sono derivate dalla creazione del disco e non riguardano la musica. Sono note autobiografiche, della vita, riguardano il “cosa fare da grandi”, se spendere la laurea di carta che abbiamo o fare altro. Il disco in sé è uscito fuori di getto, lineare nella sua non linearità.

Tra l’altro non è una grande novità a livello sonoro rispetto al precedente, “Niente di Speciale”. Questo perchè non c’è stata possibilità di sperimentare ed evolversi. L’abbiamo fatto su google con drive, ognuno di noi entrava, cambiava e registrava. 

Mi è sembrato un disco molto emotivo, di ripiegamento in se stessi. Ascoltandolo mi è venuto in mente quanto la creatività serva per elaborare le proprie magagne interiori. Quanto per voi la musica è un mezzo di espressione e quanto di elaborazione?

Duecentomila percento. Tutto quello che scriviamo e mettiamo su quella roba tonda chiamata disco è una terapia per noi. Ci serve per “non impazzire”, come dice sempre Emilio. Anche l’andare in giro, noi lo facciamo come fosse gita scolastica, ci serve per stare bene. La musica è una nostra terapia.

Rimini è un pezzo inusuale, è venuto fuori in quel modo perché ci piaceva il testo “dovremmo smetterla di lavorare”. Parla di noi: lavoriamo tutti, non facciamo musica di mestiere, e siamo costretti a sbatterci per suonare in giro. Crediamo di dire tutto nei pezzi, poi ognuno ci vede quello che vuole. Per esempio, tante canzoni del disco sembra parlino d’amore ma non è così, magari amore per la musica o per qualcosa. Non che l’amore per una persona non sia importante!

A proposito di questo: le immagini usate per il disco ci mostrano dei bambini, i testi invece ci parlando di cose adulte. Di cose irrisolte che ti tormentano di notte (Neanche un’ora sveglio), sbagli e scudi e difese e momenti bui (Mi sbaglierò), insicurezze e precarietà (Anche questa è insicurezza), debolezze e sofferenza, cose che vanno attraversate per trovare un “nuovo abbraccio” (Come mi divori), difetti, legami tossici e cose brutte che ci sono capitate, ma anche fiducia, quella che ci spinge ad andare avanti (Calamite), ricordi di viaggi bellissimi  e forse illusori (Rimini), rabbia e odio, e amore nonostante tutto (Quel che resta).
Perchè avete scelto foto di bambini? E’ la voglia di ritorno al passato, a quando la vita era più semplice? 

Non è una voglia di ritorno al passato. La vita ti porta davanti a tanti problemi, abbiamo voluto demonizzarli così. È vero, parliamo di cose da grandi, ma in copertina ci sono dei bambini che incoscienti si mangiano un panino e non sanno tutto quello che li aspetta e se ne fregano. Che bellezza!

Il booklet del disco è “fatto in casa”, realizzato a mano da Alessandro Cardinali che ha riscritto i testi delle vostre canzoni. Mi ricorda i diari delle superiori su cui scrivevamo i nostri pensieri e facevamo disegnini durante le lezioni. Quel periodo dell’adolescenza, quando la musica si faceva in cameretta. E mi ha fatto pensare anche al lavoro artigianale e casalingo che sta dietro questo disco. Era questo l’intento nel farlo?

Facciamo ancora così la nostra musica, hai preso tutta la nostra ideologia sul fare musica. Ma andiamo per gradi: era voluta la cosa di far sembrare il booklet un diario. Anche nel video di Come mi divori ci sono appesi al muro i fogli scritti a mano con i nostri testi.

Ci piace l’idea del “fare da soli”, dell’autoproduzione. Nella nostra idea di musica al primo posto c’è la collettività: le persone che ci circondano devono essere prese bene più che legate a noi per un contratto. Non ci piace che lo facciamo per numeri e soldi. Vogliamo che credano nel progetto, perchè questa è una formula che funziona, così vale la pena freghi! Vogliamo coinvolgere persone cariche che lo fanno perché gli piace

La musica è una cosa essenziale nella vita di tutti, chi la fa e chi l’ascolta. Ma arriva sempre il momento in cui si scontra con due fenomeni sociali. Il primo sicuramente l’abbiamo visto bene in questi ultimi anni, la sottovalutazione della sua importanza. Il secondo è il giudizio del pubblico, che spesso semplifica (per esempio, nel vostro caso, mi viene in mente l’essere associati ai vostri compaesani Fast Animals and Slow Kids). Cosa c’è da dire su questo? 

Innanzitutto anche la nostra necessità di esprimerci e sfogarci con la musica è prima di tutto uno svago. Lo facciamo ancora genuinamente e non ha senso piangersi addosso. È giusto considerare la musica uno svago, questo non vuol dire sminuirne l’importanza.

Per il resto, non ci è mai interessato più di tanto, magari sbagliando. Secondo noi ci sono tanti ascolti in comune e una vera amicizia con i Fask. Loro ci hanno dimostrato come una band può uscire dalla provincia e suonare a Roma, Milano, Torino. Ci hanno insegnato e gliene saremo sempre grati. 

Ma della sottovalutazione del pubblico non c’interessa. Per esempio: noi abbiamo fatto questo disco seguendo la nostra idea di disco, che forse è fuori dal 2022. Non tutte le tracce sono singoli, è un disco old school anni 90 in cui le tracce sono tutte collegate a livello di tonalità. C’è una intro e una fine con un pianoforte che va verso l’impazzire. Se arriverà a qualcuno, se riuscirà a cambiare il modo di ascoltare musica di qualcuno, siamo contenti. Facciamo musica principalmente per noi stessi. 

Anche questo modo di pensare ci accosta ai Fask ma secondo noi, ed anche secondo loro, ci sono tanti punti di differenza anche solo nel modo di scrivere. Essere la fotocopia è impossibile!

Non vi chiedo se farete altre cose, perchè le farete. Ma, facendo un gioco di parole, vi chiedo perchè le farete? Perchè fare musica, musica rock?

Come dicevo prima, lo facciamo per noi e se a qualcuno piace siamo contenti. Lo facciamo perchè l’idea di fare questi pezzi ci gasa.

Anche l’omologazione e rientrare in un genere non ci interessa, non ci piace. Weekend è una punkata, Rimini una poppata fuori dalle righe. Il nostro concetto di fare musica forse è una roba che vediamo solo noi… siamo dei pazzi.

Per esempio: la Intro e Sbaglierò erano un’unica canzone, l’abbiamo staccata per renderla più fruibile su Spotify, ma era stata pensata e fatta così per suonarla live. Noi abbiamo voglia di suonare, ci gasava l’idea di iniziare un concerto così: la gente che salta, le trombe. Noi i pezzi li pensiamo sempre per suonarli, per divertirci e far divertire chi ci viene a sentire. Quindi sì, ha senso farlo!

Riconosciamo che con la musica che proponiamo è difficile andare a fare i palazzetti nel 2022, ma noi siamo spinti anche dall’idea di concerto che abbiamo: poche persone, cariche, che pogano, si fanno male, cadono e si aiutano a rialzarsi. A noi questo piace e questo ci spinge ad andare avanti! 

Foto credits: Stonks Production

Ringrazio Vincenzo Garofalo e gli Elephant Brain. Soprattutto li ringrazio per aver concluso con un argomento a me caro e caro a tutta la nostra redazione: l’importanza dei concerti, di un certo tipo di concerti e di un certo modo di viverli. Quello basato sul vivere l’esperienza davvero, saltando e sudando insieme agli altri, condividendo la musica anche in modo fisico. 

Ma gli Elephant Brain celebrano anche un’altra cosa: l’importanza del disco nella sua interezza, quello che ascolti tutto perchè non puoi fare a meno di arrivare alla fine. Quello nel quale trovi tanti piccoli pezzi di te e ti ci affezioni. Come ti affezioni a queste sette “canzoni da odiare”.

Le prossime date del “Canzoni da odiare Tour”:

25.11 – ARCI BELLEZZA, MILANO / Culture Club 
02.12 – URBAN, PERUGIA / Friday I’m in Rock
10.12 – COVO CLUB, BOLOGNA
23.12 – HOME ROCK BAR, TREVISO

a cura di
Lara Melchionda

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – Sam Ryder – Circolo Magnolia, Milano – 6 novembre 2022
LEGGI ANCHE – The Bear: un menù pieno di fragilità umane
Condividi su

Lara Melchionda

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *