Gli Arctic Monkeys ci portano in The Car…
Gli Arctic Monkeys ritornano con un album avventuroso e pieno di canzoni enigmatiche che parlano di amore, desiderio e dubbio
Per fare il punto della situazione, mettendosi nei panni del cantante Alex Turner, potremmo sicuramente dire che è bello e necessario perdersi un po’. Il cantante trentaseienne sta trasformando gli Arctic Monkeys, una delle più grandi indie rock band del nuovo millennio, in un’entità disinvolta e malata d’amore.
Durante gli ultimi spettacoli dal vivo, abbiamo visto folle di fan impazzire al primo familiare riff di chitarra o a un rullo di batteria, scene che farebbero pensare più a una vittoria dei mondiali piuttosto che a quattro musicisti con i pantaloni a zampa che cantano di hotel spaziali, spionaggio, e ovviamente con un bell aspetto sulla pista da ballo.
Dopo le vette di “AM” del 2013, un album spavaldo che ha ringiovanito lo stile degli Arctic Monkeys, Turner si è chiuso in se stesso nel “Tranquillity Base Hotel & Casinò” del 2018, esponendo le sue paure e desideri attraverso il concetto di un elaborato resort nel cosmo vegliato dal Grande Fratello, nella sua opera più intima.
The Car
Il settimo album in studio degli Arctic Monkeys è pieno di deviazioni e pensieri persi, tenuti insieme dalle linee vocali ondulate di Turner e da un’orchestra sempre pronta come una molla. Ma come con il suo predecessore, più tempo trascorri nel suo labirinto e più chiari diventano i suoi temi.
The Car è un album di amore, desiderio e dubbio, e l’offuscamento che ti pervade serve a rafforzare la sua convinzione fondamentale che le verità più semplici, siano quelle più difficili da scoprire.
Non è diffidente dalle tecnologie future, come nel caso di “Tranquillity Base Hotel & Casinò”, ma la modernità non è del tutto risparmiata. Lavora su diverse linee autobiografiche che si addicono a un uomo rimasto sotto i riflettori per l’ultimo ventennio.
Ma non appena rivela qualcosa di personale, Turner si allontana rapidamente dal discorso, nulla sembra concreto, il che si rivela un punto chiave di “The Car”: le cose non sono mai come sembrano.
La paura e l’incertezza
Una caratteristica lampante scorrendo l’album è lo spavento che pervade Turner, il quale incanala la paranoia raccontando di spionaggio e del mondo dello show business. Il presentimento di trovarsi nel posto sbagliato, o che qualcosa non vada continua in “Sculptures of Anything Goes”.
È una canzone il cui arrangiamento trasmette la sensazione di essere intrappolato in una stanza buia, solo con ansie ed echi. Tutto è confuso, non sbagliato o cattivo, ma peculiare, arrampicandosi sugli specchi verso una stasi che non può (o non vuole?) raggiungere.
La musica di The Car, viaggia a passo a passo con l’incertezza dei suoi testi. Dopo l’apertura di “There’d Better Be a Mirrorball”, che potrebbe tranquillamente essere la colonna sonora di un film noir francese, la band esplode sull’ispirazione funk di “I Ain’t Quite Where I Think I Am”.
Al primo ascolto, è come passare da un triste pomeriggio di pioggia a un carnevale, e la transizione funziona tuttavia grazie alle performance appassionate della band. Il batterista Matt Helders canticchia sulla prima traccia coma un percussionista jazz, mentre Turner caratterizza la seconda con i suoi riff inconfondibili.
La follia continua
Con regolarità su “The Car”, Turner inizia nuove idee che non finiscono, o introduce qualcosa di completamente diverso proprio quando iniziavi a seguire il filo. È diventato un maestro dei giri di parole che non sono necessariamente sempre coerenti, ma che comunque fanno sentire bene.
Alex canta gran parte di “The Car” in falsetto, ha iniziato la sua carriera cantando con voce naturale, e nel corso degli anni ha ampliato la sua gamma, ma quando è passato a un registro più alto, è stato quasi come una parodia, incarnando lo showman che prende in giro il machismo delle rockstar, pur comportandosi un po’ da fanciulletto.
Ora che il falsetto è diventato quasi lo standard in The Car, Turner ha fatto crollare quest’ironia, e lo utilizza particolarmente per cantare nei suoi pezzi più sinceri, più delicati. É come se quella che prima era stata una fuga, ora sia diventata una realtà, un modo per mostrare la propria vulnerabilità senza usare le parole.
C’è sempre un ma…
Tuttavia, “The Car” lascia ancora un po’ a desiderare. Il motivo del titolo compare in tutto l’album, e ricorda un altro successo degli Arctic Monkeys: “Do me a favour”. In quella canzone l’auto è teatro di una disperazione straziante, ed è anche simbolo di una relazione morente. La canzone è immediata, e racconta una storia forte di quotidianità spezzata e tortuoso odio per se stessi, reso dalla voce di Turner e dalla spinta esplosiva della band.
Questa immediatezza, urgenza e vividezza sono quasi assenti da “The Car”, che nonostante la sua innegabile bellezza e particolarità di scrittura, lascia un senso di incompiuto. Se dovessimo assimilare l’album a un’automobile, sarebbe un auto di lusso come una Ferrari o una Lamborghini. Potresti guardarla passare per un momento, annichilito dalle sue curve slanciate e la carena scintillante, ma non farai caso al guidatore, e una volta andata, non passerà molto prima che svanisca dalla memoria.
a cura di
Mattia Mancini
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