“Castelli di rabbia”, l’esordio di Alessandro Baricco
Il cruccio di ogni lettore, si sa, è non avere abbastanza tempo da dedicare alla lettura. È sempre troppo poco. Ma l’estate porta con sé la speranza di più momenti liberi, di lunghe giornate in spiaggia o di relax fuori città.
Proprio per questo molte case editrici, nel periodo vacanziero, lanciano offerte vantaggiosissime e gadget bellissimi, spronando ancor più i lettori ad allargare la propria preziosissima collezione (come se ce ne fosse bisogno!).
Proprio una di queste offerte estive ha fatto si che mi imbattessi in un libro che ho sempre tralasciato, pur amando il suo autore. Castelli di rabbia, l’esordio del maestro Baricco in quella che diventerà una sua vera e propria arte.
Ho sempre evitato le prime opere degli scrittori (salvo rare eccezioni). Fare la conoscenza di un autore direttamente attraverso opere più “mature” mi sembrava un risparmio di tempo. Saltare la trafila e arrivare direttamente al cuore, vero e più consapevole, dell’autore. Puntare direttamente al meglio.
Niente di più sbagliato. Con questo suo primo nato, Alessandro Baricco ha rivoluzionato totalmente il mio modo di assaporare la lettura e gli autori. E dunque, non l’avrei mai detto, vi parlerò proprio di un esordio.
L’opera
Castelli di rabbia è la storia di una giovane coppia, i signori Rail. Lei è la donna più bella mai esistita, ma la sua bellezza accompagna anche una grande tristezza. Il signor Rail è un uomo riservato e sognatore che ha una misteriosa abitudine. Intraprende lunghi viaggi per mete note solo a lui sparendo completamente, salvo poi fare ritorno preannunciandosi alla sua amata moglie ogni volta con un gioiello diverso.
La storia, già così affascinante, ha il suo vero inizio quando il protagonista torna a casa con due novità. Un bambino bellissimo e misterioso, avuto dalla relazione con una affascinante donna di colore, e un’idea: una locomotiva. O meglio, costruire una linea ferroviaria di duecento chilometri che possa unire Quinnipak, il suo amato paese, a Morivar. Un’opera imponente, una vera innovazione per quell’epoca.
Il sogno sarà destinato a sgonfiarsi quasi subito per mancanza di fondi. La locomotiva rimarrà ferma sui primi metri di binari costruiti. Il sig. Rail comunque non si darà per vinto e cercherà in ogni modo di realizzare la sua opera e riuscire finalmente a viaggiare sul suo treno.
Ma questa è anche la storia di Quinnipak e di tutti i suoi abitanti, fortemente caratterizzati dall’autore. Uno diverso dall’altro ma tutti accomunati dall’avere un sogno nel cassetto, unica speranza che li muove.
I veri protagonisti di Quinnipak, infatti, sono i sogni degli abitanti. Grandi, importanti e quasi utopici. Come la linea ferroviaria, o il Cristal Palace (un palazzo interamente costruito in vetro).
E poi c’è il sogno del signor Pekish, che vuole brevettare il suo “umanofono” (strambo strumento musicale formato nientedimeno che da esseri umani). E quello del fanciullo Pehnt, che vuole diventare grande e lasciare finalmente il borgo.
“I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto. Così, alle volte, vale la pena di non dormire per star dietro ad un proprio desiderio. Si fa la schifezza e poi si paga”.
Storia e favola
La storia raccontata da Baricco, così realistica e piena di riferimenti storici, seppur brevi, assume in molte parti le sembianze di una favola. Al lettore sembra di entrare nelle campagne di un quadro o nei fotogrammi di un vecchio film. I personaggi, così strambi e caratteristici, fanno spesso pensare a un racconto per bambini.
I viaggi misteriosi del protagonista, la bellezza rara della sua triste moglie, un gigantesco palazzo di cristallo e una locomotiva rimasta sempre immobile sui soli venti metri di binari costruiti.
Tutto fa pensare all’assurdo e alla favola.
Allo stesso tempo, però, Baricco non poteva realizzare un’opera più aderente alla realtà. Un crescendo di metafore intelligenti. Una vera lezione di vita.
Con il suo linguaggio scorrevole e affascinante accompagna il lettore a vedere oltre i singolari e coloriti personaggi. Gli mostra i loro sogni più grandi. Le loro ossessioni. I loro castelli in aria che si riveleranno miserevolmente solo dei “castelli di rabbia”.
“Perché è così che ti frega la vita. Ti piglia quando hai ancora l’anima addormentata e ti semina dentro un’immagine o un odore o un suono che poi non te lo toglie più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quand’è troppo tardi. E già sei, per sempre un esule: a migliaia di chilometri da quell’immagine, da quel suono, da quell’odore”
a cura di
Rossana Dori
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