Iosonouncane – Express festival, Bologna – 10 giugno 2022

Iosonouncane – Express festival, Bologna – 10 giugno 2022
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Terza data dell’ IRA TOUR, Iosonouncane arriva a Bologna, tra percorsi sonori e “viscere sul tavolo”

Iosonouncane, all’anagrafe Jacopo Incani, arriva a Bologna, in occasione dell’Express Festival, ritornato in patria dopo essere stato tra i pochi italiani in line up al Primavera Sound. Lo troviamo assieme alla stessa formazione che, nei mesi precedenti, dopo due lunghi anni di live rimandati, si è esibita portando IRA, il suo ultimo album, integralmente eseguito in vari teatri d’Italia. 

Parto da un presupposto fondamentale: nonostante io sia grande fan di Iosonouncane, non l’ho mai sentito dal vivo. Le sue performance però parlano per lui.

Poliedrico, complesso, intenso, primordiale, verace, intelligente. Si dice che ogni suo live sia diverso dal precedente, che le atmosfere che crea si fondano con il paesaggio circostante e che muri di percussioni e sintetizzatori accompagnino il pubblico all’interno di una catarsi musicale che porta le viscere a vibrare all’unisono, teletrasportandoti in dimensioni altre.

Ma prima, Daniela Pes

Ad aprire il live c’è Daniela Pes. Sale sul palco sola, lei e una chitarra elettrica. Il contrasto con il palco già allestito a dovere per chi la susseguirà e forte. Daniela ci presenta un estratto dal suo prossimo disco, e senza tante cerimonie, inizia a suonare, e a cantare.

Canta in una lingua strana, che inizialmente fatico a capire. Mi sembra che pronunci parole di un’altro pianeta, e scorgo solo a tratti qualche frammento di italiano. Scopro poi, a fine live, che canta in dialetto, nello specifico in un dialetto sardo e antico. 

Le sue sonorità sono dolcissime e la sua voce spezza il fiato. Ha in comune con Jacopo l’interesse per le parole, la ricerca di una sonorità altra. Pesca dalla tradizione e la riveste, raccontando così una geografia di suoni e nenie, urli – precisissimi – e melodie di grande intensità. Ci lascia tutti a bocca aperta

Anche i respiri contano

Sul palco, un muro di sintetizzatori e percussioni. Entra Jacopo, in religioso silenzio, con la band al seguito. Si accende una sigaretta, lasciandoci sospesi, le luci si abbassano, e al buio, inizia il concerto.

I primi pezzi sono di Ira.  Quest’ultimo prodotto discografico è, forse ancor più dei precedenti, un viaggio. Un percorso tortuoso, apocalittico, monumentale e decisamente ambizioso. Un disco che si racconta tramite un non linguaggio, una sorta di gibberish in cui percepiamo parole francesi, inglesi, italiane, turche etc. Un gioco difficile da digerire, che ha bisogno di molti ascolti, possibilmente in cuffia, ma che in live rende moltissimo.

L’impressione è quella di ritrovarsi all’interno di un rito. Jacopo rincorre il pubblico, non concedendo mai una parola, anzi. Ho avuto quasi l’impressione di disturbarlo cedendo ad un applauso di troppo. Qualche timido sorriso riservato ai suoi collaboratori e una concentrazione encomiabile riguardo a quello che sta facendo. 

Il live è un gioco serio, e si percepisce. Ogni suono è al posto giusto, anche i respiri contano. La dimensione corale è assoluta, i membri del gruppo infatti sono tutti microfonati, e tutti cantano, si incastrano ritmi e voci. Le percussioni rimbombano nell’addome e le orecchie divampano di atmosfere sintetiche.

Anche le luci contribuiscono. Creando stanze virtuali in cui è possibile abitare pochi istanti, prima di vederle mutare nuovamente. Il risultato è eclettico, e allo stesso tempo estremamente coerente

Iosonouncane
Iosonouncane in concerto a Parco della musica il 31 luglio 2021
Un viaggio

Non viene suonato solo Ira, ma pare che il live sia un excursus che attraversa la sua discografia. Possiamo così cogliere il suo viaggio, collegare brani temporalmente distanti, creare nodi, dove apparentemente nulla sarebbe da legare. Costruire così una geografia di come la sua visione artistica viene proposta. In effetti, è evidente il percorso fatto. 

Il fiume di parole de La Macarena su Roma non entra in scaletta e l’artista migra tra terra e cielo, in una composizione a mio avviso intelligentissima ed estremamente poetica, verso sonorità primordiali e terrene. Qualcosa di DIE ci viene regalato. DIE, il suo secondo album, è un progetto denso e disteso, ossimorico. L’uso della parola si frammenta e si ricostruisce tramite giochi semantici finissimi. 

Durante il percorso che intraprendiamo assieme Jacopo e gli altri costruiscono uno scenario sonoro caldo e desertico, ricco di riferimenti alla sua terra e caratterizzato da una essenziale lotta: quella tra vita e morte, amore e perdita, incontro e scontroA tratti sembra quasi una discesa agli inferi, un esorcismo che sfocia in grida, ritmi e rumori che si incalzano e si distendono. 

L’impressione che ho avuto è quella di esser sola tra un mare di gente

Ciò che fu mi seppellirà

Il fiume del live arriva alla sua foce, piano piano. 

Come una foce a delta vediamo scemare i suoni, fino a percepirli larghi, armonici, malinconici. Una dolce promessa che Jacopo mantiene fino all’ultimo. 

L’ultimo pezzo proposto rincorre le parole “ciò che fu mi seppellirà”, i timpani e la batteria presenziano la scena, melodie catartiche si accodano alla sua voce. “Fiorirà, ma non più con te, sfiorirà ma non più per te”. Commovente, gentile, dolce. Il contrasto con alcuni momenti del live è enorme. Il viaggio si compie.
“Ciò che fu, mi seppellirà, li con te, mi seppellirà”.

Sfociamo nel mare. 

Jacopo abbandona il palco, senza neanche un cenno. A seguirlo, uno ad uno, i componenti della band. Ci ritroviamo con la sua voce nelle orecchie e le percussioni incastrate che ancora si alternano, e infine, si interrompono bruscamente. 

Ciò che fu ci ha seppelliti e così, con una coerenza e una sincerità disarmante, il live termina. Torniamo a casa più ricchi, consapevoli di aver assistito ad un pellegrinaggio musicale, da ricordare.

A cura di
Silvia Franchini

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