Generazione pandemia: cronaca di giovani anestetizzati

Generazione pandemia: cronaca di giovani anestetizzati
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A due anni dallo scoppio della pandemia, gli esperti allarmano sui danni psico-sociali subiti dai più giovani. Ma l’apatia che dilaga non è altro che il sintomo di un malessere più profondo. Divisi fra coscienza del passato e responsabilità del futuro, siamo solo una generazione che non ha fatto in tempo ad avere entusiasmo.

Siamo stati raccolti distrattamente sotto l’etichetta di generazione Z, noi nati fra il 1996 ed il 2010, dipingendoci arbitrariamente come un accumulo omogeneo di storie. Con ironia riconosciamo questa categorizzazione così approssimativa, portando avanti lotte silenziose in difesa delle sfumature che ci distinguono individualmente in questa società cosi fluida.

Ma oggi, con lucida rassegnazione, sappiamo che non sarà solo una lettera a definirci nei libri di storia. Gli eventi succedutisi durante la nostra infanzia e primissima adolescenza ci accomuneranno, involontariamente ed inesorabilmente.

Chiamateci dunque generazione 2009, generazione emergenza climatica, generazione pandemia: sono tutti corretti.
E la nostra coscienza critica, questa volta, non ci farà opporre.

Giochi (altrui) di denaro

Lo scoppio della bolla finanziaria nel 2009 non interruppe i nostri giochi innocenti, ma fece tremare il nostro futuro. Dietro ai sorrisi rassicuranti dei nostri genitori e ai loro occhi che tradivano preoccupazione, siamo cresciuti accompagnati dai media che tuonavano sentenze di default e bancarotta. Il mercato del lavoro che ci aspetta oggi è un corpo esausto e saturo, danneggiato (temiamo) irreparabilmente da anni di oscillazioni economiche e manovre drastiche di salvataggio.

Abbiamo imparato a conoscere la figura di Mario Draghi come Capo del Governo italiano, ma fu lui a guidare la BCE durante quei durissimi anni. Fu sempre lui a pronunciare le parole che, ancora oggi, echeggiano come una sentenza: whatever it takes. Costi quel che costi.

E noi, che quegli anni abbiamo potuto solo studiarli a posteriori per far luce sul nostro futuro, abbiamo fatto nostro quell’insegnamento. Siamo cittadini di un sistema economico e sociale che ci impone costanza ed efficienza, stigmatizzando le fragilità come presagio di fallimento. Senza guardare in faccia gli altri, e sempre più spesso neanche noi stessi, corriamo per il raggiungimento di obiettivi quotidiani che non sono gradini di crescita personale, ma garanzie di mantenimento del sistema. Questo, ancora in preda alle emorragie dovute alla crisi, è stato suturato con il metodo della standardizzazione che ci ha resi corpi senza volto, pura forza lavoro.

Le prospettive occupazionali presentate dall’OCSE nel 2021 hanno segnalato un aumento del tasso di disoccupazione giovanile in Italia, che ha toccato nel gennaio dello stesso anno il picco del 33,8%.

La spada di Damocle che pende sulla testa di ciascuno di noi, membri di questa generazione di transito fra la prosperità degli anni ’90 ed un futuro fortemente incerto, è affilata: o sei utile, o sei fuori. L’ago della bilancia è l’efficienza personale. L’accondiscendenza al sistema, la discriminante. E noi, che di questo sistema portiamo il peso degli errori e la responsabilità del futuro, ci troviamo ad acconsentire. Whatever it takes.

Responsabilità climatica e mobilitazione

L’emergenza climatica è ormai imminente, ed i suoi effetti già ben visibili. Gli scienziati gridano i rischi derivanti dall’innalzamento delle temperature. Le immagini di inondazioni e fenomeni atmosferici eccezionali riempiono gli occhi di una società trasportata dalla necessità di mantenere le comodità quotidiane. La reazione è stata univoca per lungo tempo: disaffezione collettiva verso questa tematica, come strumento di deresponsabilizzazione personale.

È stato però il silenzio, a prevalere nel caos: lo sciopero individuale e pacifico di Greta Thumberg, iniziato nell’agosto 2018, ha mobilitato in pochi anni milioni di giovani e giovanissimi in favore delle tematiche climatiche e ambientali. Difficile ignorare la presa di coscienza collettiva celata dietro ai cortei e agli striscioni colorati. Sappiamo di essere fra i primi a pagare le conseguenze dei cambiamenti climatici, e nostra è la responsabilità di rallentarne la corsa prima che investa le generazioni future.

Secondo i dati riportati nel ‘’The Deloitte Global 2021 Millennial and Gen Z Survey”, la preoccupazione per le questioni climatiche è prioritaria per la cosiddetta GenZ. E la mobilitazione generale a suo favore ne costituisce la prova inequivocabile. È la voce di una generazione non più disposta a vivere il presente senza gettare un occhio critico alle sue conseguenze future.

Una rivoluzione culturale che ha investito il cardine del sistema economico: non conta più l’efficacia del prodotto nel presente, ma la sua sostenibilità nel lungo termine. La mobilitazione di massa al grido di ‘’come osate?’’ ha dimostrato la capacità di unione per il perseguimento di uno scopo comune che ancora vive, nonostante la nostra società si configuri sempre più come individualista: i giovani, insegnano.

Effetto pandemia

La pandemia da Covid19 pare dunque essere il coronamento di una generazione già precaria e fragile. Difficile esprimere l’impatto radicale che essa ha avuto su progetti, ambizioni e banale quotidianità, soprattutto se gli uditori sono adulti mal disposti a comprendere. Il semplice ascolto non è più sufficiente per giovani che si sono svegliati 2 anni più vecchi, ma senza essere cresciuti: grandi assenti dei nostri portfolio sono socializzazione, rapporto umano e prospettiva futura.

L’inquietudine e la precarietà che hanno caratterizzato la maggior parte della nostra crescita a persone adulte, si sono concretizzate a velocità estenuante: i nostri nervi hanno spesso ceduto davanti all’incapacità di controllo che, in numerosi momenti, ha invaso le nostre vite. Non sorprendono dunque i dati allarmanti diffusi da sociologi e psicologi: i disturbi depressivi sono in netto aumento fra adolescenti e giovani adulti, e con essi casi di violenza, dipendenze ed autolesionismo. Incertezza che diventa paura, paura che diventa rabbia.

Nonostante questi stati d’animo, però, sono stati registrati aumenti di iniziative di solidarietà e attivismo socio-politico da parte dei più giovani, a dimostrazione della volontà di resilienza che ancora alberga in questa ‘nuova realtà’ così inospitale.

Ci hanno chiamati ‘giovani anestetizzati’, barricati dietro schermi luminosi e i loro contenuti di dubbio peso. Siamo stati untori ed irresponsabili quando abbiamo alzato la voce in favore della nostra normalità, poi eroi ed esempio di cittadinanza attiva grazie al sacrificio compiuto in questi periodi bui. Ma la nostra distanza, il nostro disincanto hanno radici che affondano lontano nel tempo: non è una semplice reazione del momento, ma una riga netta posta per tirare le somme. Il risultato è chiaro: non abbiamo fatto in tempo ad avere entusiasmo.

Conosciamo il peso della responsabilità, la paura della consapevolezza, la forza dei valori e dell’azione di gruppo.

Ascoltateci. Ascoltiamoci.

A cura di
Giulia Sala

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