Lo “Sbarco” di Angelo Trabace

Lo “Sbarco” di Angelo Trabace
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Angelo Trabace non è nuovo alla scena autoriale italiana. Pianista e compositore per alcuni dei cantautori più interessanti degli ultimi anni, ha collaborato con Dimartino, Vasco Brondi, Francesco Bianconi.
“Sbarco” nasce tra queste sessioni, nella necessità di ritrovare sé stesso, di scrivere qualcosa di completamente proprio.
Lo scorso 19 novembre è uscito il risultato di un viaggio intimista, un debutto sentito, che si muove sopra i tasti di un pianoforte che viaggia tra anni e decadi diverse.

Ciao Angelo!
Non indugiamo oltre e passiamo subito alle domande:
Cosa ti ha spinto alla creazione dei brani presenti in ‘Sbarco’? Sembra abbiano tutti una storia da raccontare.

Ho iniziato a scrivere i brani qualche anno fa, prima dello scoppio della pandemia. Appena sbarcato a Milano, mi sono rinchiuso in un piccolo bilocale e sono riapprodato al mio strumento. Il pianoforte qui si mimetizza e “synthetizza” una parte del mio percorso musicale. Dopo dieci anni di collaborazioni nel mondo della canzone ho sentito l’urgenza di condividere questi pezzi per dare voce a questa mia parte più intima e inquieta.
Ascoltando il disco a posteriori ho avuto l’impressione che è come se raccontasse una singola giornata: trovo infatti che ogni traccia abbia a che fare con un’orario preciso e di conseguenza a uno stato d’animo diverso.
In generale poi mi piace definire queste composizioni per tastiera “musiche selvatiche”, come quelle piante che crescono spontanee, libere, nei posti più imprevedibili e nelle situazioni più difficili.

Le influenze sembrano molteplici, i suoni, i ritmi e le armonie cambiano costantemente durante l’album; ma cosa ti ha portato a creare un album interamente strumentale, in un periodo in cui la voce sembra l’unica parte importante del brano?

Con la musica strumentale ci si può prendere molta libertà, molto spazio, si può vedere tutto in maniera molto più calma. Quello che mi ha portato a non usare le parole è proprio l’importanza che ho dato alle note, ci sono musiche che evocano e provano a raccontare senza bisogno di un testo così come ci sono poesie che non hanno bisogno di musica.

Mi incuriosisce la copertina di ‘Sbarco’, qual è stato il percorso che ti ha portato a optare per questa immagine?

La copertina del disco è una mia illustrazione.
Ho cercato di creare un’immagine iconica e surreale, che celebrasse il pianoforte e lo rappresentasse in maniera luminosa, quasi psichedelica, poco austera e impostata, non amo molto i ritratti dei pianisti con le mani sullo strumento…

Hai collaborato con molteplici artisti prima dell’uscita di questo progetto in singolo, si possono ritrovare delle loro influenze in ‘Sbarco’?

Si, credo che inevitabilmente le collaborazioni, frutto quasi sempre di confronto e scambio reciproco, influenzino l’approccio alla scrittura. Nel mio caso l’aver lavorato nel mondo della canzone mi ha aiutato a sintetizzare e a pensare ad alcuni mie brani con una struttura più influenzata dalla musica popolare.

Per concludere, una prospettiva terrificante:
da domani la musica smette di esistere in ogni sua forma.
Cosa faresti per continuare a sentirti te stesso?

Mi metterei a lavorare coi colori e a dipingere. Da bambino sognavo di fare il pittore…

a cura di
Luca Pensa

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