Condanna a Mimmo Lucano: cos’è il “modello Riace” e perché fa paura
Giovedì scorso l’ex sindaco di Riace è stato condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi di carcere.
Ci sono le leggi e c’è lo stato di necessità, ovvero quella situazione in cui un individuo commette il fatto, costretto dalla necessità di salvare qualcuno da una situazione di pericolo. Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, che è stato condannato qualche giorno fa a 13 anni e 2 mesi di carcere, il doppio della pena chiesta dall’accusa, aiutava i rifugiati. E questo è un fatto. Per farlo aggirava e ignorava le leggi. E anche questo è un fatto.
Ancora non sono state comunicate le motivazioni della sentenza, saranno depositate tra 90 giorni, ma l’esito di questa vicenda sembra – agli occhi di molti, tra giornalisti, politici e attivisti – una punizione esemplare al cosiddetto “modello Riace”, di chi accoglie e salva altri esseri umani.
Le accuse a Mimmo Lucano
Probabilmente non è giusto fare indossare gli abiti del martire a Domenico Lucano, è solo un uomo come tanti. Non un santo, non un eroe, ma un uomo con complessità e contraddizioni. Anche il suo sistema di accoglienza, il modello Riace, era complesso e contradditorio. Ma dell’accoglienza, Lucano ne ha fatto una missione. Una missione che non doveva essere solo sua, intendiamoci, eppure è stato lasciato solo pagando sulla propria pelle l’arretratezza legislativa del nostro Paese.
Giovedì scorso infatti, per l’ex sindaco di Riace è arrivata la condanna in primo grado a 13 anni e 2 mesi di reclusione. Una pena particolarmente severa, raddoppiata rispetto a quella richiesta dal procuratore capo di Locri e dal pubblico ministero, e che in tanti hanno giudicato sproporzionata.
L’inchiesta era iniziata nel 2018 sotto il nome di Xenia. Secondo le indagini fatte, il modello Riace ha aggirato alcune norme nazionali per permettere l’ingresso in Italia a persone straniere e favorire, in maniera illecita, la loro permanenza sul territorio. I capi d’accusa imputati a Lucano sono una lunga serie di delitti contro la pubblica amministrazione e il patrimonio.
Dopo la condanna, Domenico Lucano ha dichiarato all’ANSA:
“Sono dispiaciuto. Non ho nessuna cosa nella vita se non l’orgoglio di avere, per anni, inseguito un’ideale e di aver fatto delle cose che mi davano una fortissima gratificazione, essere di aiuto a tantissime persone arrivate a Riace in fuga dalle guerre, dalla povertà. Questo dava valore a quello che stavo facendo, che non era una cosa persa. Nel mio immaginario era come dare un aiuto al mondo”.
Il modello Riace
Riace è un paese di circa duemila anime in provincia di Reggio Calabria, famoso per il ritrovamento dei “Bronzi di Riace”. Circa vent’anni fa, rischiava di diventare un paese fantasma. Da lì se ne andavano tutti, perfino i bronzi.
Lucano, prima attivista e poi sindaco, però ebbe un’idea: accogliere alcuni migranti e integrarli nella comunità locale. I primi arrivarono nel 1998, con una nave proveniente dalla Turchia. Lucano, da quell’episodio soprannominato “Mimmo u’curdu“, li ospitò nelle case abbandonate del centro. Anno dopo anno, i residenti, in gran parte stranieri, riaprirono le botteghe di tessuti e ceramiche. Il paese ritornò lentamente vivo.
Quello di Riace divenne un “modello” studiato in tutta Europa. Secondo il metodo messo a punto da Lucano ai richiedenti asilo venivano assegnate in comodato d’uso le case del centro, abbandonate dagli abitanti in cerca di lavoro al nord, e destinati i soldi dei progetti di accoglienza stanziati dal governo per dare vita ad attività commerciali che venivano poi gestite dai richiedenti asilo e dai cittadini di Riace, insieme.
Prima con Città Futura, un’associazione nata nel 1999 con l’intento di ridare vita al paese, e come sindaco dal 2004 in poi, creò nuovi spazi e riaprì quelli abbandonati.
Nonostante le apparenze però, questa non è una favola e non c’è nessun lieto fine. Lucano venne infatti arrestato nel 2018 e messo agli arresti domiciliari. Alla base dell’accusa c’era un’intercettazione in cui parlava della possibilità di far sposare un’immigrata nigeriana, a cui era stato negato per tre volte l’asilo, con un cittadino italiano. Quest’accusa, in cui si insinuava che avesse organizzato “matrimoni di comodo”, venne poi ritirata dai pm ancor prima di arrivare a sentenza. Ma non era il solo illecito a lui imputato. Infatti il “modello Riace” messo in piedi da Lucano, fondato su un principio di solidarietà, secondo i giudici del tribunale di Locri nascondeva abusi d’ufficio, truffe e vari reati come concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Perché il modello Riace fa paura
Con questa condanna a uscire delegittimato è soprattutto un modello. Riace è infatti la prova che in Italia si può fare accoglienza e contemporaneamente ridare vita ai luoghi abbandonati e dimenticati. Ci sono però anche le violazioni del codice penale, ripetute talmente tante volte che è difficile credere in una leggerezza. Una cosa sembra comunque essere certa: Lucano non ha mai usato i soldi per i propri interessi, né ha mai intascato nulla. Chi l’ha conosciuto lo descrive come un mistico. Un uomo che ha rinunciato a tutto per occuparsi dell’accoglienza dei migranti. Colpire lui, significa colpire un ideale.
Quello di Riace poteva essere un modello virtuoso, concreto, un’alternativa alle politiche di respingimento. Ma oggi è additato solo come illecito dal punto di vista amministrativo. Poteva favorire la rinascita dei paesi spopolati, essere un nuovo sistema di accoglienza. Entusiasmante per alcuni e spaventoso per altri, perché dimostrava che l’accoglienza non solo era possibile, in Italia, ma poteva anche essere un motore di ripresa economica. E come si potrebbero, a quel punto, additare i migranti come pericolosi, se invece si dà loro una casa e un lavoro onesto e retribuito?
a cura di
Daniela Fabbri
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