“Le città di carta” di Emily e Dominique

“Le città di carta” di Emily e Dominique
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Le città di carta, di Dominique Fortier, rimandano inavvertitamente a quelle Città invisibili di Calvino. Alter ego edizioni ha forse inconsciamente creato un legame con l’immagine di città che appartiene alle donne, città che racchiudono nelle proprie mura un’immagine ancora, una donna quasi invisibile, Emily Dickinson

La città per chi passa senza entrarci è una, e un’altra per chi ne è preso e non ne esce; una è la città in cui s’arriva la prima volta, un’altra quella che si lascia per non tornare; ognuna merita un nome diverso. 

Le città invisibili, Italo Calvino

Quasi invisibile perché la Emily raccontata da Fortier in questo romanzo non è fatta di opere e poesie o di studio forzato della letteratura. Non è la Dickinson che bisogna studiare per avere il voto assicurato a scuola, durante la lezione di inglese che si lega a quella americana. La Fortier ne restituisce un ritratto estremamente umano, gentile e quasi incomprensibile se osservato con la stessa velocità con cui oggi esploriamo un giardino lungo la strada. 

Le città di carta, Dominique Fortier, Alter Ego edizioni. Foto di Ylenia Del Giudice
Le città di carta: anime invisibili

Le città di carta sono un percorso non solo nella vita della celebre poetessa. Sono un vero e proprio tour sensoriale che si muove nei luoghi della sua vita; un viaggio in quella linea di terra sottile in cui si trova il lascito di uno scrittore. Cosa resta oltre la sua parola? Dominique Fortier si insinua fra il passato e il presente, portando alla luce quel ritratto della Dickinson in chiave contemporanea, con uno sguardo diverso e personale.  

Emily non è mai stata a messa ma s’inginocchia ogni mattina davanti ai fiori. Non ama diserbare, le piante cosiddette cattive sono buone come le altre, e le lascia crescere volentieri in mezzo a quelle che ha piantato. Il giardino le appartiene solo in parte; l’altra metà è frutto delle api.

Si tratta di 187 pagine dove il lettore può camminare a piedi nudi senza farsi male, nelle parole tradotte da Camilla Diez che raccontano la vita di una donna con tutte le sue fragilità e i suoi fiori interiori, con quelle piccole manie che qualcuno ancora oggi persegue: l’arte della rilegatura a filo refe, fatta a mano, gli abiti quasi esclusivamente bianchi e il rapporto con un giardino, puro riflesso del suo sottobosco.

Ritratto di Emily Dickinson. Foto da Internet.

Non sono previsti capitoli e date come una qualunque biografia. Pagine bianche, qualche riga. La vita di Emily Dickinson e il suo inchiostro scorrono fra le dita del lettore che si perde piacevolmente in una carta avorio 70 gr. spessorata raccolta in fascicoli a filo refe, e colla per la copertina da 250 gr. della cartiera Fedrigoni. 

Le parole diventano lo strumento con cui l’autrice erge un ponte fra il passato e il presente, fatto di silenzi e pause per permettere al lettore di godere di un tempo non più suo, impenetrabile ma condivisibile. Il libro de Le città di carta è un oggetto-libro senza tempo.

La contemporaneità dei sentimenti

Su quel celebre scatto Emily appare magra e pallida, con il lungo collo cinto da un nastro di velluto scuro, gli occhi neri molto distanziati che esprimono un’attenzione tranquilla e un sorriso sulle labbra. I capelli, pettinati con la riga in mezzo, sono legati all’indietro. Indossa un vestito a strisce molto semplice, con il colletto chiaro, arricciato in vita, e nella mano sinistra tiene qualcosa che potrebbe essere un mazzolino di fiori. […] Per l’eternità sarà soltanto quel volto.

Le descrizioni che realizza Dominique Fortier sono cariche di emotività condivisa. La scrittrice non tocca le città di Linden e Amhrest con i suoi piedi, non ne annusa gli odori, le vive esclusivamente attraverso le parole di Emily Dickinson. Città di carta che restano tali, immaginate e legate tramite un ricordo, una lettura e l’uso dei sensi.

a cura di
Ylenia del Giudice

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Ylenia Del Giudice

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