“Altrove”, il primo romanzo di Daniele Corradi

“Altrove”, il primo romanzo di Daniele Corradi
Condividi su

Ciò che veramente conta è sentirsi in cammino

Cari Sound Readers, eccoci oggi a presentare un nuovo autore parmigiano, Daniele Corradi, e il suo primo romanzo Altrove, edito da Italic e nella collana Scritture, pubblicato lo scorso 11 marzo 2021.

Altrove è la storia di una storia, la narrazione del processo stesso di una narrazione, un racconto che insegue e riflette su se stesso, dalla propria genesi sino alla parola fine: parola dopo parola, pensiero dopo pensiero, attimo dopo attimo. Il protagonista principale è Matijas, personaggio fittizio rappresentato come un ubbidiente burattino, manovrato per le strade di quel mondo immaginario che egli vede nascere e sviluppare, in tempo reale, davanti agli occhi.

Dalle prime pagine si nota il ritmo frenetico di scrittura, di un narratore infervorato che spera di raccontare il più possibile del suo personaggio dietro al quale sembra celarsi il vero scrittore, forse insonne, o forse un pensatore seriale che riesce a farci viaggiare con i suoi pensieri.

Che dire dell’autore?

Daniele, classe 1993, è nato e cresciuto a Parma. Ho avuto il piacere di fare la sua conoscenza durante il periodo universitario presso la facoltà di Lingue. Dopo una magistrale a Bologna e varie esperienze di studio all’estero, al momento è dottorando all’Università di Parma. Nel suo tempo libero è tastierista del gruppo alternative rock From Life to Love.

Ma andiamo a scoprire di più sul suo romanzo, con la mia intervista!

Ciao Daniele, partiamo dal titolo del tuo libro Altrove: dove vuoi portarci con il tuo romanzo?

Altrove, lo dice la parola stessa, non vuole tanto portare verso un luogo specifico, quanto piuttosto invitare ad un allontanamento da tutto ciò che si conosce. Un movimento centrifugo, insomma. Un viaggio dove è più importante ciò che ci si lascia alle spalle, piuttosto che ciò che si va a trovare. Dove ciò che veramente conta è sentirsi in cammino, rispondendo ad un naturale bisogno di cambiamento e di evoluzione, sullo sfondo di una quotidianità giudicata troppo ristagnante e in cui l’individualità, alla lunga, finisce per spegnersi.

Ricordo di aver scritto Altrove in un periodo di totale rigetto verso la realtà, la mia così come la realtà in generale, e penso che il libro rifletta molto questo aspetto, questo desiderio e bisogno di fuga, al di là di ciò che si va poi cercando. Definirei Altrove come un viaggio nella fantasia e nelle potenzialità creative del linguaggio e della narrazione stessa.

Come nasce l’idea di Matijas e di questi suoi incontri casuali?

Avevo quest’immagine iniziale di un personaggio creato dalla voce narrante perché si prestasse alle sue manipolazioni come un inerme burattino, salvo poi ribellarsi al suo creatore e prendere a muoversi sempre più in autonomia, costretto ad essere inseguito dalla storia. L’idea era quella di un narratore completamente in balia del proprio personaggio, insomma.

Matijas è nato anche perché si è rilevato necessario disporre di una sorta di catalizzatore per l’intera narrazione, che si sarebbe altrimenti persa nella nebbia dei miei stessi discorsi. Non volevo scrivere un romanzo su di me, ma avevo comunque bisogno di esprimere molte cose che sentivo dentro.

Inserire Matijas, e soprattutto trattarlo come un oggetto estraneo visto dal di fuori, mi ha permesso di ottenere quella giusta amalgama di distacco e di coinvolgimento con la storia che dovevo raccontare.

Raccontaci invece di te e del tuo primo romanzo: cosa ti ha portato alla scrittura della tua opera? A quali autori e romanzi ti sei ispirato per questo genere di scrittura?

Venivo da alcuni anni che erano stati incredibilmente intensi e che mi avevano portato ad evolvermi moltissimo, e sentivo probabilmente il bisogno di soffermarmi un po’ più a fondo su tutto ciò. Volevo capire se potevo davvero diventare uno scrittore, e scrivere un romanzo mi sembrava la prova più adatta allo scopo.

La mia più grande ispirazione, in campo sia accademico che artistico, è sicuramente Samuel Beckett. Lui è un faro che non mi abbandona mai e che mi accompagna sempre in ogni cosa che scrivo. Altre influenze importanti sono state poi Gogol’ e Daniil Charms e, nello specifico per questo romanzo, anche Il Piccolo Principe che mi ha dato inconsciamente l’idea della strutturazione per “microcosmi narrativi”. In fondo, penso che tutto ciò che si legge finisca inconsciamente per confluire in ciò che poi uno scrive.

Nel tuo romanzo è chiaro da subito il dialogo fra lo scrittore, il narratore e il lettore e questo circolo introspettivo fra realtà e finzione. D’altronde la figura del manichino, presente nelle tue foto, ne è un’immagine simbolica. Raccontaci la tua idea.

Esatto, questo utilizzo del manichino non è casuale. Quella per i manichini è un’ossessione che mi porto dietro sin da piccolo (ne avevo appunto uno come giocattolo preferito che mi portavo ovunque). L’immagine dell’omuncolo, che si può trovare anche in Beckett, è in fondo il soggetto perfetto per questo tipo di letteratura sperimentale. Il personaggio-manichino entra nella pagina senza una definita caratterizzazione, amorfo, senza un passato o una storia pregressa, senza un’identità.

È uno strumento di superamento dell’illusione romanzesca: permette allo scrittore di uscire allo scoperto, di porre l’accento sulla presenza di un’immaginazione, di una mente che sta dietro alla narrazione, abbandonando ogni pretesa di voler raccontare una realtà oggettiva. Per chi vuole la realtà c’è sempre la realtà: la letteratura per me funziona molto meglio quando si comporta come fosse un’altra cosa.

Secondo te, in che modo la letteratura può aiutare nella ricerca del senso di sé e del proprio ruolo nel mondo? Credi sia un viaggio fine a sé stesso, oppure con uno scopo preciso?

La letteratura per me è un impulso del tutto naturale, un bisogno fisiologico a cui si risponde come al bisogno di nutrirsi, un movimento a cui ci si abbandona come a quello di un muscolo involontario, come il cuore. È necessaria per sopravvivere, è inevitabile.

Ma forse questo è abbastanza, chissà. Per me è più un viaggio fine a sé stesso, come poi lo è forse anche la vita. Penso che sia uno strumento necessario per provare a comprendere la nostra condizione e la nostra situazione esistenziale. Forse, di per sé, non porta ad alcun raggiungimento in questo senso, ma il processo di scoperta di sé e del mondo che la letteratura mette in moto è sufficiente per fare della nostra esistenza un qualcosa di più di una semplice sopravvivenza.

 Cosa bolle in pentola nel prossimo futuro? Hai già nuovi progetti?

Al momento l’obiettivo principale è innanzitutto quello di promuovere questo Altrove e farlo arrivare il più lontano possibile – in questo senso è da poco uscito un bellissimo podcast registrato in collaborazione con Sabina Borelli, una cara amica che si occupa di teatro. Per quanto riguarda futuri progetti letterari, posso dire che sto lavorando ormai da anni a una raccolta di racconti di carattere esplorativo e sperimentale che avrà il nome di Caleidoscopie. Sulla falsariga di Altrove, per certi versi, eppure già molto diverso.

Oltre a questo, ho idee per altri tre romanzi e almeno due lavori di teatro, ma il tempo è tiranno e la vita ci assorbe con le sue incombenze, quindi chissà quando avrò modo di lavorarci! Nel frattempo, potete seguire i miei steps sulla pagina Instagram.

Speriamo davvero Daniele di poter leggere presto altri tuoi lampi di genio! Grazie mille delle tue parole e del tuo tempo. Ora non ci resta che andare un po’ Altrove, traghettati dalle tue parole.

a cura di
Francesca Bandieri

Seguici anche su instragram!

LEGGI ANCHE – Camila Cabello torna con “Don’t Go Yet”
LEGGI ANCHE – Al Ginzburg Park Festival arrivano i Melancholia: l’intervista

Condividi su

Francesca Bandieri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *