Fabio Poli, “Quello bravo” è il nuovo singolo: guarda il video

Fabio Poli, “Quello bravo” è il nuovo singolo: guarda il video
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Quello bravo è il nuovo singolo di Fabio Poli, attorniato da una superband di tutto rispetto. Hanno partecipato infatti Cristian “Cicci” Bagnoli (Steve Rogers Band, Gallo Team, Open act nel tour di Zucchero) alle chitarre, Max Gelsi (Elisa, Ivano Fossati, Gianluca Grignani, Bugo) al basso, Salvatore Bazzarelli (Alberto Radius, Notte delle Chitarre, Eric Burdon) tastiere e Filippo “Sbam” Barcaiolo alla batteria.

La canzone

Un brano dal sapore punk rock, nato durante una jam session, con potenti riff chitarristici e una sezione ritmica compatta. Su tutto questo si innesta un testo, al solito, carico di ironia. Una sorta di flusso di coscienza in cui si susseguono episodi di vita da tour realmente accaduti dai contorni tragicomici.

«Un ritratto provocatorio dello stato della musica in Italia, per questa generazione precaria di musicisti quarantenni, combattuta tra la stabilità lavorativa di tributi, cover band, progetti di intrattenimento musicale di facile presa e il sogno di sempre: una carriera artistica fatta di canzoni e produzioni originali attraverso cui esprimersi realmente.

Nella maggior parte dei casi, abbandonati a se stessi da una discografia morta e sepolta, e dalle generazioni precedenti di artisti “che ce l’hanno fatta” che non hanno mai investito seriamente su un rinnovamento della scena.

Da questo punto di vista particolare, possiamo poi allargare l’immagine, estendo questa riflessione in senso sociale, ad una generazione che vive nella costante attesa di potersi realizzare in ogni settore, frenata da un Paese che non la comprende e non la rappresenta, malgestito da un Potere in mano da decenni ai soliti noti, irrimediabilmente fuori tempo massimo».

L’intervista

Abbiamo raggiunto Fabio Poli, già protagonista di un nostro “Check the sound”, per scambiare due chiacchiere sul nuovo singolo e sulla “fotografia” che Quello bravo fa del sottobosco della musica italiana.

Nel voler “scimmiottare” il mondo delle tribute band il brano ha tanti riferimenti a Vasco Rossi e al suo mondo, di cui tu e Cicci fate parte praticamente da sempre, a partire dal riff che richiama quello di Qui si fa la storia al finale che riprende Albachiara, passando per l’intermezzo con l’assolo in stile Brian May, un po’ sulla scia di Sono in down della Steve Rogers Band e l’assolo di Solieri che faceva il verso a Malmsteen.

Domanda articolata. Aggiungerei anche l’amico Max Gelsi, che ha suonato il basso in Basta poco per Vasco “quello vero” e Salvatore Bazzarelli che ora suona con Alberto Radius, ma per tanti anni ha suonato anche coi musicisti di Vasco, come me e Cicci. Partirei dal presupposto che il rocker di Zocca ha rappresentato, per la nostra generazione, l’accesso ad un sound internazionale ma con dei testi particolarmente comunicativi ed emozionali, quindi è stato facile appassionarsi al personaggio fin da bambini, ancora prima di iniziare a suonare uno strumento. Per cui, semplificando un po’, gran parte della scena rock italiana, gli deve molto.

In Quello bravo, però, la mia idea non era quella di ironizzare sulle tribute band in generale, che magari non rappresentano un punto culturale particolarmente elevato, ma fanno dell’intrattenimento che è gradito da una certa fetta di pubblico, ma di sottolineare quanto, in alcuni casi, il tributo sfoci in una caricaturale parodia dell’artista che, anziché omaggiarlo, ne svilisce la sua stessa arte. Il finto Ligabue che, ad un’ipotetica sagra, con voce impostata dice “c’è da spostare una Twingo” ne è il perfetto epilogo.

A chi ti riferisci quando dici “Dopo arriva quello bravo, quello che faceva rock con Al Bano”?

Non c’è un riferimento in particolare ad una persona, ma a tutta una scena di poppettino italiano all’acqua di rose che, per anni, si è sciacquata la bocca con quella parola solo perchè, magari, mettevano un suono leggermente più saturo ad una chitarra. Secondo me, in pochi musicisti possono dire di aver fatto realmente del rock in italiano, perchè la maggior parte delle produzioni sono legate ad una rincorsa al mainstream, e quindi hanno fatto rock, o più spesso un surrogato, quando andava di moda, e poi hanno fatto pop o dance quando invece andavano quei generi. Per inteso, non c’è niente di male in tutto questo, anch’io sono passato da produzioni totalmente cantautorali tipo L’amore eterno dura sette secondi a pezzi rock dance come Io e Chiara, ma se devo fare un dissing lo faccio notare.

Quale pensi sia la ricetta per far tornare le case discografiche a fare investimenti anche “rischiosi” andando a scovare dal nulla giovani artisti promettenti, senza che debbano passare per forza prima da un talent ed avere quindi già un serbatoio di visibilità e notorietà?

Prima di questo io mi chiederei se la musica interessa ancora a qualcuno. Noi siamo cresciuti spulciando nei negozietti di dischi alla ricerca del singolo importato con la B-side diversa da quella del singolo italiano, abbiamo passato interi pomeriggi nel dibattere tra compagni di classe su cosa rappresentassero i 4 assi di un colore solo di Rimmel o la frase finale sussurrata da Freddie Mercury, “And there you have it”, su I’m going slightly mad, facendo della musica la nostra ragione di vita. Oggi a livello sociale ne è cambiata completamente la percezione, oltre che la fruizione. Per cui, prima di tutto, auspicherei una rinascita da un punto di vista culturale che a sua volta potrebbe partire solo eleggendo in Parlamento persone con un certo spessore intellettuale e non quattro bottegai che stentano sul congiuntivo.

Non credi che la colpa sia anche (o forse soprattutto) dei gestori dei locali? Ormai anche in città da milioni di abitanti come Roma e Milano i posti dove poter fare musica originale si contano sulle dita di una mano, due al massimo. Si preferisce andare ad incasso sicuro puntando sulle cover piuttosto che dare possibilità agli emergenti di farsi notare.

Io suono da una vita e, fino all’inizio della pandemia, non ho mai avuto nessun problema ad esibirmi, anzi, da dopo l’uscita di Primo in classifica da 58 settimane sono arrivato a una media di 80 concerti l’anno. Certo si tratta di saper stare sul mercato e quindi preparare degli spettacoli che, nei contesti delle feste di piazza o dei locali generalisti, sia divertente, mescolando cover, magari completamente riarrangiate, a brani originali, optando, se gli spazi non lo consentono, per concerti acustici in formazioni ridotte. Insomma, non ho mai sofferto le problematiche di non avere richieste. Aggiungerei però che i progetti di musica originale vanno costruiti negli anni, e quando sono partito io, a metà degli anni novanta, c’era molta più apertura mentale anche nell’andare a vedersi un illustre sconosciuto, mentre oggi, se avessi vent’anni, sarebbe tremendamente difficile partire. Se portiamo il discorso al presente, dopo l’emergenza sanitaria, non so quale scenario ci si porrà davanti. Di certo, ci vorranno anni, per ritornare ai livelli pre-pandemia.

Il video

Nel videoclip, girato da Matteo Battellino per Atelier n.33, in una scuola in disuso, messa gentilmente a disposizione dal Comune di Noventa Padovana, si è cercato di sottolineare questa volontà di prendere in giro, in primis, se stessi, attraverso una serie di gag surreali che ricorrono costantemente in tutto il brano.

«Abbiamo scelto come location una scuola abbandonata partendo dal presupposto che gli esami non finiscono mai. E così vedere dei musicisti ultraquarantenni, seguire lezioni assurde, in cui si imparano cose totalmente antimusicali come scimmiottare le mosse delle star internazionali, in mezzo alle macerie, fa scorrere il brano velocemente fra tante metafore, e magari sensibilizza il pubblico su certe oscenità che vengono richieste attualmente dal mercato musicale».

Fabio Poli Quello bravo cover

a cura di
Andrea Giovannetti

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Andrea Giovannetti

Nato a Roma nel 1984, ma vivo a Venezia per lavoro. Musicista e cantante per passione e per diletto, completamente autodidatta, mi rilasso suonando la chitarra e la batteria. Nel tempo libero ascolto tanta musica e cerco di vedere quanti più concerti possibili, perchè sono convinto che la musica dal vivo abbia tutto un altro sapore. Mi piace viaggiare, e per dirla con le parole di Nietzsche (che dice? boh!): "Senza musica la vita sarebbe un errore".

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