The end of Evangelion, il film della serie al cinema

The end of Evangelion, il film della serie al cinema
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Mamma, ho capito il significato dell’At-Field”.

Asuka Soryu Langley in The End of Evangelion

È la consapevolezza raggiunta da Asuka durante lo scontro con le nove unità inviate dalla Seele in The End of Evangelion, il film tratto dalla serie di 26 episodi Neon Genesis Evangelion. L’At-Field è il campo di forza elettromagnetico che protegge gli Eva, le macchine da combattimento umanoidi pilotate dai protagonisti. È, però, anche la metafora utilizzata dal creatore della serie Hideaki Anno per raccontare quelle barriere che erigiamo per nascondere le nostre insicurezze e difenderci dal giudizio degli altri.

In diverse interviste, Anno ha più volte raccontato di aver messo tutto se stesso in Evangelion. Il film non fa eccezione. Per la prima volta in Italia, 24 anni dopo la sua uscita, la pellicola sarà trasmessa al cinema il 28, 29 e 30 di questo mese insieme a Evangelion: Death (True)², il riassunto dei primi 24 episodi. Il film mostra infatti il finale della serie (argomento oggetto di non poche polemiche tra i fan) sotto un altro punto di vista.

La paura di perdere il proprio At-Field

Nel mettere tutto se stesso, Anno ha raccontato la sua depressione. Il racconto metaforico dell’autore procede di pari passo con quello diegetico dei personaggi. Shinji, Asuka, Rei, Misato, Gendo, Ritsuko, Kaji sono personaggi che godono di una loro autonomia. Le loro vicende possiedono un significato proprio, al di là anche del messaggio che ha voluto trasmettere l’autore.

 Nella Neo-Tokyo 3, sopravvissuta alla catastrofe del Second Impact, i tre quattordicenni Shinji, Asuka e Rei sono arruolati dall’agenzia Nerv come piloti dell’Eva per combattere dei mostri dall’origine ignota chiamati “Angeli”. In questo mondo militarizzato, costruito intorno un paradigma emergenziale, nei pochi attimi di libertà, provano a godere di quel po’ di serenità che gli è negata dalle circostanze. Il capitano Misato cerca di creare loro un ambiente familiare protetto. Il tentativo fallisce sotto il peso delle ferite psicologiche dei personaggi. Ognuno con i suoi traumi del passato mai del tutto rimarginati. L’aggravarsi dell’emergenza fa il resto.

Anche i personaggi dal carattere forte come Misato si riscoprono fragili e bisognosi di aiuto. In questo modo, le barriere che li separano, si rafforzano. All’incapacità di comunicare i propri sentimenti, segue la paura che queste armature cementificate costruite dai personaggi per proteggersi si sbriciolino. La paura di apparire fragili è persino più grande della paura di fallire. Nell’isolamento comunicativo, inoltre, c’è la consapevolezza della propria solitudine.

Evangelion, storie di figli che si emancipano dai propri padri

Il papà di Shinji, Gendo è un uomo freddo e cinico. Per raggiungere i suoi piani, non ha scrupoli a strumentalizzare suo figlio o la dottoressa Ritsuko, che nutre sentimenti per lui. Ha in mente un progetto dalle fattezze totalitarie: il progetto di perfezionamento dell’uomo. Vorrebbe congiungere tutto il genere umano in un’unica entità. Pensa infatti che l’unione possa eliminare il senso di incompletezza causato dalla condizione limitata dei singoli.

Evangelion è però anche la storia di figli che si emancipano dai propri padri. Shinji capisce che nell’assoluto non c’è vita. Dietro si cela la brama egoista di suo padre, incurante della vita e della libertà altrui. Capisce che è grazie ai limiti del corpo e della mente che siamo in grado di interfacciarci agli altri. Per quanto limitante, è proprio la nostra condizione definita a consentirci di esperire le innumerevoli sfaccettature della realtà. Non esiste una verità assoluta, ma tante piccole verità che ci permettono di cambiare il nostro punto di vista.

Cambiando il nostro modo di vedere il mondo, possiamo dunque cambiare il corso della nostra vita che è sì condizionato dagli eventi, ma non predeterminato in assoluto.

Anche nei giorni di pioggia, potrebbero esserci cose piacevoli”.

Ritsuko Akagi

Il dilemma del porcospino   

Sembrerebbe che tutto finisca con un lieto fine, ma la grandezza dell’opera di Hideaki Anno sta nell’aver problematizzato i temi trattati. Le relazioni interpersonali raccontate non si esauriscono con Shinji che accetta se stesso. La nuova consapevolezza del giovane Ikari non mostra una soluzione, ma un possibile percorso.

È il dilemma del porcospino menzionato da Ritsuko a Misato, un concetto tratto dalla filosofia di Schopenauer. Per proteggersi dal freddo, i porcospini ricercano il contatto fisico ma devono stare attenti a non ferirsi con i loro aculei. Allo stesso modo, gli esseri umani sono spinti a relazionarsi per colmare il vuoto e la monotonia interiori. Quanto più si avvicinano, però, maggiori sono le possibilità di incomprensioni e delusioni. Ecco, dunque, che la ricerca di contatto umano si scontra con l’ineluttabile presentimento di rimanere feriti. Shinji e Asuka imparano presto che questa ricerca non ha soluzioni immediate e che alla fine non c’è nessun premio da raggiungere. È invece un percorso  che richiede tempo e pazienza. In modo tale che l’“At-Field” sia quella linea che ci consenta, riconoscendo i nostri limiti, di trovare i punti di contatto con l’altro.  Non un muro invalicabile che ci taglia fuori dal mondo.  

Evangelion dopo un anno di emergenza

Per il taglio universale degli argomenti trattati, Evangelion potrebbe risultare attuale praticamente sempre. Dopo oltre un anno di pandemia, tuttavia, è come se le vicende umane raccontate acquisissero un nuovo e peculiare significato. Il lato del mondo in cui vivo non è stato poi così diverso dalla distopica Neo-Tokyo 3. Certo, per fortuna niente mostri giganti all’orizzonte, ma c’è stato un costante uso di procedure e terminologie militari/emergenziali: stato d’emergenza, coprifuoco, zona rossa, divieti, obblighi di distanziamento.

La stessa narrazione del virus è stata spesso quella di un “nemico” da sconfiggere proveniente dalla Cina. Non discuto la loro legittimità o efficacia, dovrei anche ritenermi fortunato perché per molte persone vivere in perenne stato d’emergenza è consuetudine. Però in quelle ore d’aria ritagliate (in maniera più o meno lecita) tra gli impegni di studio e lavoro durante le varie zone rosse, per vedere qualche amica o amico, ho rivissuto le vicende dei personaggi di Evangelion. Soprattutto, in quei tentativi di ricreare, mentre fuori tutto crolla, una parvenza di normalità o di toccare con mano la solitudine e la rassegnazione.

Nonostante questo, Evangelion mostra che è possibile ricominciare con la propria vita. Pur pagando a caro prezzo i traumi mai elaborati del loro passato, Shinji e Asuka ci riusciranno. Impareranno ad accettarsi, ma la nuova consapevolezza sarà soltanto il primo passo di un percorso più lungo.

a cura di
Angelo Baldini

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Angelo Baldini

Nato a Napoli nel 1996 studia Giornalismo e cultura Editoriale presso l'Università degli studi di Parma. Collabora con Eroica Fenice di Napoli e con ParmAteneo. Crede in poche cose: in Pif, in Isaac Asimov, in Gigione e nella calma e nella pazienza di mia nonna Teresa.

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