L’ 8 Marzo non è una data da festeggiare (ora)

L’ 8 Marzo non è una data da festeggiare (ora)
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Avete presente quando si dice “Non ci sono più le mezze stagioni” a causa del cambio del tempo e dell’atmosfera? Oggi, l’8 marzo possiamo dire che “Non c’è più l’8 marzo di un tempo” perché anche qui, l’atmosfera è cambiata

Oggi, 8 marzo 2021 non ci sono conquiste da festeggiare, non si sta più insieme, non si sente il profumo di mimosa, non si cercano le amiche per andare in piazza a cantare.

Si possono vedere, sì, manifesti sparsi qua e là sorretti da qualche braccia femminile, ma alla fine, chi sono queste donne? Non sono di certo le giovani, quelle costrette a fare i conti con la difficoltà del quotidiano, bensì le donne più “grandi”, quelle abituate a lottare da tempo e che ancora sono lì a farlo, preoccupandosi per il futuro dei propri figli e nipoti.

Le donne più giovani, ora, sono prese dai problemi che sono a conseguenza della pandemia e manifestano contro le chiusure delle scuole, contro la scarsa assistenza sanitaria o protestano per l’aver perso il lavoro. Per cosa quindi, dovrebbero festeggiare?

La situazione nel mondo del lavoro

Lo sapete che nel dicembre 2020 sono venuti a mancare 101.000 posti di lavoro di cui 99.000 erano occupati dalle donne?

Con la pandemia i settori dell’alberghiero, della ristorazione e del commerciale hanno subito un grosso ridimensionamento e chi ne ha subito le conseguenze sono state le donne lavoratrici che occupano maggiormente quei settori.

Le donne lo sanno che, in periodo di crisi, da sempre, i primi lavoratori licenziati sono loro che nell’eventualità di un figlio usufruiscono del periodo di maternità, allattamento, e permessi per assistere i figli malati in tenera età. Non a caso, ancora nel 2021 a tantissime donne durante i colloqui di lavoro viene chiesto se prendono la pillola.

Inoltre aggiungiamo anche i permessi per la legge 104/92 sull’assistenza ai disabili di cui usufruiscono il più delle volte le donne che spesso devono assistere ai famigliari disabili e gli anziani, perché come si dice “le donne sono più adatte”.

A questo punto mi sorge una domanda. Le donne servono di più nel mondo del lavoro o a casa a occuparsi della famiglia? Si potrebbe rispondere “a casa” così lo Stato si sente esonerato a non investire sui servizi sociali per la comunità e magari la famiglia non deve spendere per badanti, baby sitter o donne di servizio.

Occupazione femminile e scuole per l’infanzia

Percentuali dell’ISTAT alla mano si nota che l’occupazione femminile è al 48,4% mentre è al 66,6% quella degli uomini. Con delle percentuali come queste il nostro Paese è al penultimo posto in Europa davanti alla Grecia.

Sempre secondo l’ISTAT, le donne hanno un rapporto di lavoro poco stabile: i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono al 31%, mentre per gli uomini al 51,4%. Bisogna constatare che le donne spesso sono costrette a lasciare il lavoro per esigenze famigliari o di non cercarlo perché non ci sono asili nido o scuole per i figli più piccoli.

L’Italia infatti non si è mai impegnata, tranne in alcune Regioni, a raggiungere l’obiettivo imposto dalla Comunità Europea del 33% dei servizi educativi per l’infanzia (da intendersi da 0 a 6 anni). Speriamo che rispetto a questo ci sia un cambiamento che per ora è solo sulla carta in quanto obiettivo del documento in fase di costruzione del Recovery Plan (Sono stati stanziati 3,6 miliardi di euro per le strutture sociali).

Inutile dire che con sufficienti servizi educativi per la prima infanzia le donne possono dedicarsi al lavoro con più tranquillità, con un salto di qualità della vita sociale e di uguaglianza tra i sessi, uguaglianza che all’Italia servirebbe considerando che è al 76° posto su 153 Paesi per parità di genere.

Cosa c’è quindi da festeggiare?

Se calcoliamo la situazione attuale confrontandola con quella delle conquiste femminili degli anni ’70 e ’80 lo scenario è alquanto scarno.

Ricordiamo alcune vittorie quindi (che non sono poi solo femminili): la legge 898 del 1970 che disciplina lo scioglimento del matrimonio introducendo il divorzio nella legislazione italiana confermando poi questo diritto con la votazione del 1974 votando no all’abrogazione della stessa; la legge 151 del 1975 che sancisce la parità giuridica fra i coniugi anche nella responsabilità sui figli; la legge 903 del 1977 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro in merito ad accesso, retribuzione e carriera e la legge 194 del 1978 per la tutela della maternità e interruzione volontaria della gravidanza.

Questi sono tutti diritti conquistati soprattutto con le battaglie delle donne a beneficio anche degli uomini.

Ma in questi ultimi anni non si sono aggiunte altre conquiste, non c’è stato un processo evolutivo delle donne perché la disuguaglianza di genere è ancora esistente così come il gap di strutture ricettive per l’infanzia.

Per esperienza non c’è nessuna garanzia che ciò che si è conquistato sia acquisito per sempre e le nuove generazioni devono continuare a lottare per mantenere le vittorie.

Cosa c’è quindi da festeggiare? Poco, o forse nulla.

Se volete approfondire l’argomento delle conquiste sociali vi segnalo il libro “Il coraggio delle donne” ed Il Mulino, di Maraini e Valentini.  

a cura di
Mariella Cavalli

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