Lettera di una maestra col cuore in quarantena

Lettera di una maestra col cuore in quarantena
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Sono una giovane maestra di 23 anni e l’anno scorso ho avuto la mia prima esperienza tra i banchi. Purtroppo è coincisa con l’emergenza più grave e acuta che la scuola abbia mai attraversato nel corso della propria storia.

Prima esperienza, prime gioie, primi dolori, prima pandemia e primo lock-down.

È un buco nero quel periodo. Un vortice di emozioni alle quali difficilmente, anche a distanza di mesi, riesco a dare un nome, ma non scriverò di quello. Scriverò di ciò che ne è rimasto oggi, perché tutti parlano della crisi, del disastro, di picchi, grafici, nessuno racconta cosa ne rimane dopo.

A scuola siamo tornati davvero con le pareti spoglie, con i banchi separati dalla distanza di sicurezza, con gli igienizzanti al posto delle gite, con le mascherine al posto dei sorrisi sdentati che sanno così tanto di rivoluzione.

E scusate se noi insegnanti siamo diventati dei carabinieri, se non vi facciamo più giocare come prima.

Scusate se non possiamo più avvicinarci ai vostri banchi, se vi proibiamo di condividere le figurine, i giochi e i libri, quando vi abbiamo sempre insegnato a farlo.

Perdonateci se non possiamo più abbracciarvi, se non possiamo più consolarvi. Se non possiamo più sorridervi, ma dobbiamo strizzare forte gli occhi per farvi capire che state facendo bene, che siamo fiere di voi e che in fondo sapete adattarvi ai cambiamenti meglio di noi.

Scusate per il mondo che vi stiamo consegnando, scusate se vi abituiamo a sentire brutte notizie e se ormai abbiamo perso le speranze. Se ci preoccupiamo più di tenervi a distanza che di annullarla, se a volte siamo di cattivo umore per quello che leggiamo, sentiamo e viviamo nel mondo dei grandi, che lo sono ormai solo di nome.

Non possiamo più portarvi in gita ma nei weekend facciamo a gara a chi va più lontano

Scusate per le continue liti sull’apertura o meno delle scuole che dovrebbero essere un diritto, perché oltre al virus ci sono anche cose importanti da combattere sono l’omologazione e la sottomissione. Così come l’omofobia, l’odio, l’intolleranza, la violenza, lo sciacallaggio, l’ignoranza e la povertà.

Scusate se ormai siete diventati mere classi messe in quarantena, gradi di febbre da misurare all’ingresso, numero massimo di persone a cui è consentito stare nella stessa classe. Scusate se vi abbiamo appiccicato per terra dei bollini segnaposto e poi siamo i primi ad ammassarci nelle piazze.

Scusate se vi obblighiamo a mangiare al banco e poi pestiamo i piedi per un aperitivo negato. Scusate se non possiamo più portarvi in gita ma nei weekend facciamo a gara a chi va più lontano a creare traffico.

Vi abbiamo escluso da tutto, sebbene siate l’unica forza in grado di risollevarci

Scusate se parliamo di voi come un problema, come un qualcosa da sistemare anziché come un’incredibile risorsa da coltivare. Siamo tristi, amareggiati, scontrosi e persi, se non siamo più modelli da seguire, ma gusci vuoti alla perenne ricerca del senso di tutto questo.

Scusate se non vi porgiamo più la mano ma ve la disinfettiamo, se non ci appelliamo più all’unità e alla collaborazione, ma vi ricordiamo sempre che più lontani state e meglio starete.

Scusate se siamo rassegnati, vittime di un sistema che invece che darci sicurezze ce le toglie. Vi abbiamo escluso da tutto, sebbene siate l’unica forza in grado di risollevarci, facendoci però abbassare la testa, le ginocchia e il cuore, per metterci alla vostra altezza

Vi abbiamo coperto la bocca ma non gli occhi. Vi giuro che la bellezza e la meraviglia esistono ancora, dovete solo essere voi ad aiutarci a vederle e a ritrovarle.

a cura di
Ilaria Iannuzzi

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