La nuova edizione di X-Factor racconta storie e mondi da scoprire
Nel mezzo della prima puntata del famoso format inglese “X-Factor”, approdato alla sua 14° edizione, mi sono soffermato a riflettere su cosa sia diventato. Cos’è rimasto di quel circo canoro, dove a farla da padrone erano le canzoni e non il “vestito” indossato durante le esibizioni?
Cosa è cambiato negli ultimi anni?
Sarà che il mio stato di invecchiamento (precoce) predilige il trovare un difetto ad ogni cosa. Sarà che il lanciarmi con sdegno, su tutto ciò che è nuovo (o meglio, non ancora digerito), provoca in me uno stato di onnipotenza. Tipo quelle da eccesso di coca-cola e vecchi film anni novanta.
O magari sarà semplicemente che quella sera stavo esagerando con il cibo cinese d’asporto. Ma ad un certo punto qualcosa ha cominciato a turbare la mia indole scrutatrice. Così prima di iniziare uno sproloquio, al sapore di soia, mi sono seduto a pensare a cosa sia cambiato in questi ultimi anni.
Nelle ultime edizioni sono cambiate molte cose. La qualità video, che fa percepire quanto lavoro possa esserci dietro una singola puntata. Fino ad arrivare ai veri eroi del programma: i giudici. Abbiamo visto negli anni numerose personalità occupare quelle ambite poltrone foderate di velluto.
Quest’anno a“X-Factor” abbiamo un poker di giudizio niente male che fonde una sfrontata dialettica giovanile (Emma, Hell Raton). In contrapposizione ad una più tenue e ragionata tela che sa di “esperienza” (Manuel Agnelli). Il tutto mixato da una colorata, e sensibile, aria internazionale (Mika).
Un’edizione piena di storie da raccontare
“X-Factor” quest’anno non vanta gli applausi del pubblico live, causa restrizioni Covid. Quindi decide di puntare i riflettori sulle “storie” dei concorrenti, sulla loro vita e sui loro incubi, piuttosto che sui loro sogni.
C’è cosi tanta bellezza nascosta nelle isole lontane da noi. E fare quel passo in più non solo ci fa scoprire mari che non avremmo mai pensato di navigare, ma ci da addirittura la possibilità di calpestare sabbia che non ci appartiene. Di conoscere storie che non avremmo mai ascoltato.
La TV, ad oggi, si posiziona al primo posto tra gli “educatori a colori”. E non possiamo permettere che i fruitori di questo dispositivo, spesso molto giovani, non abbiano la possibilità di scoprire che esiste un mondo nuovo. Un luogo che va al di là della mera geografia che si studia in tutte le scuole.
E lo so che spesso si casca nella retorica (l’ho fatto io per primo). E viene da dire che un programma, che analizza lo spettro del talento italiano, dovrebbe puntare i riflettori sulle doti canore. Sullo studio che li ha accompagnati fino al provino e non sulle storie che gli appartengono.
Ma forse è arrivata l’ora di cominciare ad apprezzare non tanto il gradino del podio. Non tanto i numeri che sfornano le piattaforme digitali, facilmente corruttibili dal Dio denaro.
Forse è arrivato il momento di premiare il coraggio. Di soccombere all’istinto di rimanere aggrappati ad arcaiche regole musicali che dettano un tempo che non ci appartiene più.
Ho imparato due lezioni che vorrei regalare a voi. Punto primo non bisogna mai andare a comprare cibo cinese d’asporto con una fame atavica. Secondo non bisognerebbe mai dare giudizi senza riflettere abbastanza, senza “digerire”. perché in entrambi i casi si rischia di esagerare.
a cura di
Alessandro Di Domizio
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