Annalisa Malara, da Codogno al TEDx di Bologna: pensare da “outsider” può salvare una vita (e non solo)

Annalisa Malara, da Codogno al TEDx di Bologna: pensare da “outsider” può salvare una vita (e non solo)
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Abbiamo imparato a riconoscere il suo nome e il suo volto, dietro ad una mascherina, a febbraio, nei primi tragici giorni della pandemia in Italia: Annalisa Malara è il medico anestesista che ha individuato il paziente 1 di Covid-19 a Codogno.

Ospite al TEDx Bologna, domenica 13 settembre alle 20:00 in piazza Maggiore, Annalisa porterà sul palco la sua testimonianza diretta, un messaggio di ispirazione per tutti: la necessità del lavoro di squadra nell’ottenere risultati importanti e la centralità del ruolo del malato nel lavoro di un medico. Abbiamo avuto la possibilità di intervistarla e di poter condividere con lei alcune riflessioni sulla sua professione e sulla sua esperienza di vita.

Quando, più di 6 mesi fa, le primissime notizie sulla diagnosi Covid -19 del paziente 1 di Codogno hanno iniziato a circolare, ci siamo chiesti: qual è stata l’intuizione, il momento esatto che ha ribaltato il corso degli eventi e ha permesso di salvare moltissime vite in Italia? 

All’interno di una terapia intensiva la gravità dei quadri clinici dei pazienti richiede spesso la capacità di prendere decisioni forti in tempi molto brevi, cercando di vagliare ogni possibilità diagnostico-terapeutica.

Agire con scrupolo e determinazione, senza escludere a priori una possibile eziologia per quanto remota, ha permesso di fornire a quel paziente le migliori chance diagnostico-terapeutiche e, conseguentemente, la possibilità per tanti altri di non esporsi al contagio.

Come per ogni intuizione (e come per ogni “outsider” che si rispetti) quanto è stato difficile per lei convincere il suo team a darle credito, in un’ipotesi che sembrava essere così azzardata?

Il lavoro d’equipe per essere funzionale richiede fiducia reciproca tra gli elementi che la compongono, fiducia che si costruisce nel lavoro di tutti i giorni. Non ho avuto difficoltà a farmi supportare dai miei colleghi, siamo un gruppo affiatato che lavora insieme da anni.

Pensiero creativo e pensiero divergente, quanto sono importanti nella sua professione scientifica?

In terapia intensiva si concentrano i quadri clinici più estremi che spesso richiedono un approccio metodologico trasversale, e una capacità di pensiero analogico. Quando ci si trova di fronte a situazioni complesse il pensiero lineare può non essere sufficiente. Escluse le cause più frequenti, quando le terapie più comuni non portano risultati, bisogna prendere in considerazione anche ciò che è più improbabile, ma tuttavia plausibile.

In un’intervista di qualche mese fa suo papà Antonino ha raccontato gli aneddoti di una figlia sportiva e studiosa. Così tenace da laurearsi in Medicina con sei mesi di anticipo e di indirizzare poi una lettera di protesta all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano… Quali furono i motivi di una missiva con un destinatario così importante?

La latenza nei tempi d’inizio delle scuole di specialità per una mancata programmazione dei posti disponibili. Chi come me si era laureato nei tempi previsti rischiava di iniziare la scuola di specialità con quasi un anno di ritardo, posticipando di molto l’inizio della formazione specialistica e di conseguenza l’ingresso nel mondo del lavoro. 

Nel suo percorso di studi e di vita, che cosa l’ha portata a scegliere proprio la specializzazione in Anestesia e Rianimazione? 

La consapevolezza che fosse proprio l’anestesista rianimatore la figura necessaria ogni qualvolta le condizioni del malato fossero diventate critiche e richiedessero l’utilizzo di farmaci, competenze, e macchinari complessi. Mi affascinava la capacità del rianimatore di  saper prendere decisioni rapide, in circostanze estremamente difficili e delicate.

La pandemia ha messo in luce una verità scomoda: negli ospedali italiani mancavano (e mancano ancora) molti posti in Terapia Intensiva. I tagli alla Sanità nel corso di lunghi anni hanno costretto molti reparti di Rianimazione a reggersi quasi unicamente sulla volontà di pochi medici e specializzandi, tra turni estenuanti, reperibilità costanti e rari riposi. Le chiedo, questa volta a titolo di “insider”: cosa si può fare oggi, a fronte di ciò che è accaduto, per rendere il nostro sistema sanitario davvero più efficiente?

Credo si debba puntare maggiormente sui giovani medici, aumentando il numero di iscritti a medicina, e garantendo a tutti i neolaureati l’accesso alle scuole di specialità. Anche incentivando quelle specialità che sono meno attrattive perché più esposte a rischi professionali e minori capacità di guadagno economico.

Bisogna inoltre puntare di più sull’integrazione della medicina del territorio con gli ospedali, incentivando la telemedicina per sgravare maggiormente i pronto soccorso. 

Credo che puntare sui giovani medici, sull’assistenza territoriale e sull’innovazione tecnologica possa essere la chiave di lettura per una sanità più forte.

Per quanto riguarda invece la risposta del sistema sanitario ad emergenze come quella rappresentata dalla pandemia penso che i mesi di marzo e aprile ci abbiano insegnato molto sulla necessità di avere la possibilità di riconvertire rapidamente i posti letto in posti intensivi, necessità di implementare il personale e la strumentazione necessaria per le terapie intensive e subintensive.

Parliamo del suo lato sportivo: che sport pratica e quanto l’aiuta nella sua quotidianità (e nell’esercizio della sua professione medica)?

Sono da sempre una grande sportiva, fin da piccola ho iniziato a praticare l’atletica leggera, per poi in età più matura avvicinarmi all’arrampicata sportiva. Ma la cosa che più mi piace è camminare in montagna. Credo che lo sport abbia da sempre avuto un grande ruolo nella mia vita, mi ha insegnato a non darmi mai per vinta, ad avere costanza e tenacia.

Che cosa è cambiato nella sua vita, da febbraio ad oggi? Quali sono i due momenti che sono rimasti indelebili nella sua memoria, a livello umano prima ancora che professionale? 

La mia vita è cambiata tanto quanto quella di tutti noi. In più su di me si è acceso un interesse mediatico che non è stato semplice da gestire.

Non dimenticherò mai il primo collega che si è ammalato di COVID19 e che è stato ricoverato, e le decine di malati, anche 80-90, che ogni giorno entravano in pronto soccorso in condizioni spesso drammatiche. Un qualcosa che spero di non rivedere mai più.

Settembre, tempo di test di ammissione alle facoltà universitarie: cosa si sente di suggerire ai giovani che si avvicinano a Medicina?  

Che il lavoro che hanno scelto è un lavoro bellissimo e di grande importanza, che va sempre effettuato con il massimo dell’impegno e professionalità, perché abbiamo la responsabilità del bene più prezioso di una persona: la salute. 

 E a noi tutti, che siamo qui ad osservare il futuro con occhi incerti e timorosi per l’arrivo di nuove ondate, che cosa ci può consigliare ?

Consiglio di non abbassare mai la guardia contro questo virus, l’attenzione individuale rimane sempre la carta vincente nella lotta alla diffusione. Di cercare di vivere con fiducia il presente: dall’ondata di marzo e aprile gli ospedali hanno imparato molto. Una seconda ondata non ci coglierebbe impreparati, siamo inoltre fiduciosi sullo sviluppo di un vaccino.

Scientificamente, quante probabilità ci sono che io e lei, a Settembre del prossimo anno, saremo vaccinate per il COVID-19? E quante probabilità, invece, di continuare a pensare da “outsider”?

Purtroppo non ho la risposta a questa domanda ma ho piena fiducia nella realizzazione in tempi brevi di un vaccino efficace. Ci sono in atto ingenti sforzi internazionali volti a conseguire questo fondamentale risultato. 

Abbiamo sempre bisogno, in ogni campo e ambito, di persone che pensino e agiscano fuori dal gruppo, da ciò che è noto, e si spingano verso terreni e approcci nuovi e inesplorati. È così che si ottengono nuove conquiste partendo spesso da modalità alternative di affrontare i problemi. 

Ultima domanda, un po’ di parte: poiché anche la scienza ha comprovato l’importanza della musica nella stimolazione delle attività neurali, ci dica…qual è la sua musica preferita che l’accompagna sempre?

La musica ha il potere di evocare e amplificare le emozioni, ogni momento e stato d’animo richiede una specifica “colonna sonora”. Non esiste per me la musica preferita, ma la canzone giusta al momento giusto.

Grazie davvero, Dott.ssa Malara, per l’intervista…e soprattutto per l’intuizione che ha salvato molte vite.

a cura di
Emanuela Ranucci

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Emanuela Ranucci

Nata a Torino, laureata in Comunicazione multimediale con una tesi specialistica in Letteratura italiana contemporanea, nel 2001 inizia a lavorare in RAI come redattrice e assistente di produzione per la realizzazione dei programmi televisivi educativi di Raitre (Melevisione, Screensaver). Nel dietro le quinte della tv si innamora della fotografia, realizzando le sue prime foto di scena. Da quel momento non abbandona più la macchina fotografica, dedicandosi a reportage, backstage, eventi, concerti e still life. Attualmente si divide tra i progetti da fotoreporter&videomaker e la sua agenzia di comunicazione (Loom Collective) che ha fondato a Torino.Nel tempo che rimane, ama: viaggiare, sorseggiare il barbera, nuotare al mare (anche d’inverno), cantare (stonando) in sala prove.

2 pensieri su “Annalisa Malara, da Codogno al TEDx di Bologna: pensare da “outsider” può salvare una vita (e non solo)

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