Vespro: un viaggio da Napoli a Milano

Vespro: un viaggio da Napoli a Milano
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Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Vespro, un rapper decisamente diverso dall’immaginario a cui siamo abituati, che ha pubblicato questo venerdì 10 luglio dal titolo Agave, titolo che prende il nome da una pianta che fiorisce per poi morire subito dopo. 

Vespro è cresciuto ascoltando r&b e hip hop, muove i suoi primi passi nella musica sin dall’età di 16 anni. Partito come rapper conscio, inizia a sperimentare sonorità più melodiche, anche grazie alla collaborazione con il producer Omake, che ha curato la produzione anche questo singolo.

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Un nuovo capitolo che segue i primi singoli dell’artista napoletano classe 1996, entrambi pubblicati a cavallo tra il 2019 e 2020, e la partecipazione con 5 brani a DEMOTAPE [intermezzo], lavoro collettivo di Kumomi uscito durante il lockdown, è arrivato un nuovo singolo che anticipa la pubblicazione di un primo lavoro ufficiale.
Ecco cosa ci ha raccontato!

Esiste una scena musicale indie a Napoli? In che rapporti sei con questa città?

A Napoli c’è una quantità di musica pazzesca e ce n’è per tutti i gusti. Forse la scena indie è una delle più interessanti. Credo infatti che il significato di musica “indie” alle pendici del Vesuvio esuli dall’accezione che ha acquisito in ambito mainstream e si riallacci piuttosto all’idea di musica indipendente che aveva in origine, mescolandosi con la musica tradizionale ed il folk. Non sono un ascoltatore zelante di questo filone in particolare, ma non posso negare che artisti come Gnut, Tropico, La Niña e i Foja stiano facendo molto bene e forse contribuiranno a rinnovare il significato di cantautorato in chiave partenopea.

Ho da sempre avuto un rapporto di odi et amo con Napoli: da un lato rappresenta la città che “mi ha cacciato”, dato che la mia famiglia ha sempre avuto difficoltà nel trovare una stabilità che d’altronde non è mai arrivata. E poi per tutti i controsensi che ho vissuto sulla mia pelle nella periferia in cui abitavo. Dall’altro però è una città splendida, ricca di storia, di poesia e di musica, e ognuna di queste è un patrimonio raro per l’umanità a cui mi sento visceralmente legato e che provo a portare con cura ovunque vada.

Siamo nuovi qui in Campania. Dove ci porti?

Due luoghi cruciali per la mia storia: il panorama del cosidetto “tarallo” alla fine di via Michetti e piazza Quattro Giornate, entrambi nel quartiere Vomero di Napoli. Il primo è un luogo speciale a due passi dal mio liceo, da cui si può ammirare l’intero golfo. Ci andavo spesso dopo scuola per pensare e per staccare dal caos della città, oppure ascoltavo la musica e provavo a buttare giù le mie prime rime. Mentre a piazza Quattro Giornate ho passato tutta la mia adolescenza. Ho fumato per la prima volta in quella piazza coi miei amici di sempre e per la prima volta mi sono ritrovato in un cerchietto di freestyle, proprio in quel campetto da basket malandato, tra graffiti e skaters.

E di Milano cosa ci dici? È facile fare musica nel contesto milanese?

Percepisco Milano come una città pragmatica, ma forse questa è la visione di una persona nata e abituata a fare musica da tutt’altra parte. Per me rappresenta la parte finale della fase creativa: il momento in cui un pezzo dev’essere finalizzato e mandato in distribuzione. Diciamo che è il momento in cui l’ispirazione diventa lavoro, ma sono le due facce della stessa medaglia.

Come sei entrato in contatto con Kumomi?

Ho conosciuto Francesco (Omake) mentre lavoravo al mio primo singolo. Ci trovammo in studio e chiudemmo “512”. Di lì a poco mi iniziò a parlare della sua idea e del progetto Kumomi e, senza che me ne rendessi neanche conto, ero già parte del roster.

La tua è un’estetica molto particolare, soprattutto in un contesto urban-rap. Che ne pensi? Hai sentito della vicenda di Guè Pequeno e Ghali?

Per quanto mi senta molto legato all’immaginario del rap, non mi sento più un rapper e infatti stiamo lavorando con Kumomi proprio per costruire un sound e un’estetica che risultino totalmente miei, a prescindere dal genere. Non a caso, se da un lato condivido alcune sonorità con il mondo urban-rap, dall’altro flirto tanto con gli strumenti e con il sogno di avere una band che suoni per me. Non voglio escludere nulla.

Ho sentito di Ghali e Gué, ma sinceramente non mi interessa molto, con il massimo rispetto per entrambi. Ci stiamo abituando a vedere spesso rapper che si “dissano” sui social e, a mio modestissimo parere, lo trovo ridicolo. Mi sembra solo un’occasione in più per farsi la promo anche perché, guarda caso, certi polveroni vengono sollevati sempre in concomitanza con qualche uscita.

Sono uno che vive una sana competizione con tutti i colleghi, ma resto dell’idea che conti soprattutto rimanere concentrati comunque sul proprio lavoro: non è sminuendo gli altri che ci innalzeremo, ma cercando di impegare più tempo in studio e meno sulle stories di Instagram.

In che modo Agave è un cambio di percorso per te?

“Agave” è forse il primo step per qualcosa di più grande. Sento che sto crescendo e sto cambiando tanto sia artisticamente sia come persona e questo brano ne è forse una riprova. Se da un lato nella vita non ho mai saputo chiedere scusa e accettare i miei limiti, dall’altro sento che la mia impostazione è sempre meno legata ai retaggi di quel ragazzino che faceva rap a 16 anni: sto lavorando tanto sugli ascolti e sulla scrittura e la mia penna ne sta risentendo.

Il brano è una pura introspezione. Infatti, attraverso l’escamotage del confronto tra la spinosità dell’agave e l’eleganza dell’agapanto, ho cercato di descrivere i due lati del mio carattere: uno più luminoso e sensibile, l’altro più oscuro e spigoloso.

Prossimi passi?

Dopo l’estate sarò a Milano per lavorare a un progetto più grande, ma non voglio ancora spoilerare nulla. Dico soltanto che ho tantissimi progetti in cantiere che non vedo l’ora di rivelare.

a cura di
Giulia Perna

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Giulia Perna

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