Il futuro della musica, cosa ci aspetta?

Il futuro della musica, cosa ci aspetta?
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Tra flashmob sui balconi, dirette Instagram e Facebook, brevi esibizioni sui monopattini elettrici, ci chiediamo quale sarà il futuro della musica. Perché anche lei è una delle protagoniste di questa quarantena.

Parliamo però della ‘musica in sé’ perché se la intendiamo come ambito lavorativo, siamo di fronte ad un settore completamente fermo. Salvo forse l’aspetto didattico, dove continuano le lezioni online.

A farne maggiormente le spese i concerti, gli eventi e i festival. Non è infatti raro imbattersi in notizie e post riguardanti concerti annullati o rinviati a data da destinarsi. E proprio quel ‘a data da destinarsi’ esprime un po’ tutta l’incertezza del momento, in cui a partire dalle sfere istituzionali non si riesce a tracciare una prospettiva su ciò che sarà il mondo dopo l’epidemia. (È una constatazione, non un’accusa).

I possibili rischi

Sono state accennate alcune idee: fase 2, convivenza col virus, fase 3… nulla però di troppo chiaro. In questo navigare a vista, il futuro del mondo dei concerti appare quanto mai oscuro.

Intorno questo settore orbitano poi tantissime professioni: dai promoter agli uffici stampa, dai roadie ai tecnici del suono, passando per chi si occupa del service audio, luci e tanto altro ancora.

La speranza è che si possa riprendere il prima possibile, ma le possibilità di tornare alla normalità appaiono remote. Il rischio concreto è che possano saltare tutti gli eventi musicali di questa estate in cui sono previsti concerti di artisti internazionali come Paul McCartney, Billie Eilish, Post Malone, Green Day, Camila Cabello, System of a Down, Foo Fighters, Liam Gallagher

Per la sicurezza sanitaria sarebbe giusto rinunciarci, ma inutile negare la delusione.

Quale futuro per i concerti?

Sul futuro della musica e dei concerti ci eravamo interrogati già qualche tempo fa, per l’occasione dell’uscita dell’ultimo album dei Coldplay, Everyday’s Life. La band britannica aveva infatti rinunciato al tour, in attesa di studiare una forma sostenibile di concerto ad impatto zero.

In quei giorni ci chiedevamo se fosse possibile tutto ciò e continuiamo a non avere risposte. Ad oggi, non esiste un modo per rendere ecologicamente sostenibile al 100% i grandi concerti, quelli dei grandi artisti internazionali per intenderci. Anzi, la via è solo una: non farli.

Però attenzione, non voglio promuovere una crociata ambientalista per il boicottaggio dei concerti in tutto il mondo. Non fraintendetemi, cerco di constatare, ecco.

Comunque, proprio in questo momento, seppure continuano a mancare le risposte, questi interrogativi appaiono più urgenti che mai. In molti, infatti, richiedono un cambio di rotta nei nostri modelli politici ed economici, degli acceleratori di fenomeni come le epidemie (ne abbiamo parlato anche qui Gli interrogativi aumentano, le certezze no) e, forse, il mondo dell’industria musicale potrebbe essere uno dei primi settori a cambiare più velocemente. Uno dei primi a doversi ridimensionare.

Questo potrebbe significare che in futuro dovremo rinunciare alla magniloquenza spettacolare degli spettacoli musicali ai quali siamo abituati, a favore di una dimensione più intima e raccolta. Se è presto per fare previsioni nette sul futuro della musica, non è però imprudente fare ipotesi e sollevare dubbi. Sperando di cavarci anche qualche risposta.

Arene e palazzetti in silenzio, balconi e dirette social in fermento

Una dei segni più evidenti del lockdown è stato il silenzio piombato nelle strade. Una quiete assordante a tratti insopportabile, inizialmente interrotta dai flashmob dai balconi delle 18:00. Tra tricolori sventolanti, sferragliare di pentole, applausi, inni nazionali, dj set e chi più ne ha e più ne metta, quest’atmosfera gioviale e caciarona è gradualmente scemata. Probabilmente per i sempre più dolorosi bollettini della Protezione Civile, per il sopraggiungere dei problemi economici e forse anche per una più consapevole e giudiziosa coscienza della situazione.

Sul mondo dei social, invece, non è mai sceso il silenzio, anzi l’attività è aumentata esponenzialmente. Le nuove tecnologie hanno permesso a tanti musicisti di superare la distanza sociale e di poter suonare insieme. I più intraprendenti non hanno perso tempo a condividere la loro musica e c’è anche chi come The Soundcheck (è conflitto di interessi?) e Parole Indie ha fornito uno spazio virtuale su Instagram ai musicisti emergenti per potersi esibire: #acasalive.

L’esigenza della condivisione e del silenzio

Senza musica si può certo sopravvivere, ma è indubbio che essa rientri nei bisogni creativi ed intellettuali di tantissime persone. In questo momento di reclusione forzata, l’esigenza creativa e di condivisione della musica sono forse più urgenti che mai. C’è comunque chi non ha nascosto il suo dissenso sia per la qualità delle performance offerte che per tutte queste attività in sé. Considerate una forma di smania produttiva e di esibizionismo, in un momento in cui si dovrebbe privilegiare la riflessione e il silenzio.

Molte esibizioni, in particolare quelle dai balconi, sono state sì grottesche, da sagra di paese. Non siamo però tutti sapienti esecutori e forse è un po’ pretestuoso tacciare di esibizionismo quello che molto probabilmente è un genuino tentativo di stemperare la tensione e di cercare conforto.

D’altro canto, bisogna comunque tener conto di queste voci critiche. Tra queste ha sicuramente spiccato Nick Cave. Sul suo blog The Red Hand Files ha infatti affermato di aver più volte pensato di superare questo momento di inattività attraverso la creatività ma infine ha prevalso la linea del silenzio:

«Perhaps, it is a time to pay attention, to be mindful, to be observant» (Forse è il momento di prestare attenzione, di essere consapevoli ed osservanti).

Un momento per riflettere anche sul ruolo dell’artista e del musicista nella società: «It is a time to take a backseat and use this opportunity to reflect on exactly what our function is — what we, as artists, are for» (È il momento di fare un passo indietro e usare quest’opportunità per riflettere su qual è il nostro ruolo, a cosa possiamo essere utili noi come artisti).

Il futuro della musica sarà sempre più legato alla tecnologia e ai social?

Intanto, nel ‘backseat’ delle nostre case possiamo ipotizzare diversi scenari. Da parte mia, faccio fatica ad immaginare un futuro della musica che non sia strettamente legato alle nuove tecnologie e i social. Già in questi anni la loro influenza ha inciso tantissimo nella diffusione di fenomeni musicali. In tal senso, un esempio calzante è quello della trap.

Possiamo negare l’importanza di piattaforme come SoundCloud, Instagram nella diffusione del genere? Potrebbero aver inciso non soltanto sull’aspetto di diffusione ma anche su quello costitutivo del genere, spingendo gli artisti a concentrarsi su singoli brevi, di pochi minuti in cui le parole sono programmate per essere funzionali alle melodie, più che portatrici di contenuto.

Tendenze riscontrabili maggiormente nella trap ma anche in altri generi. Le piattaforme di streaming musicale hanno favorito nuove forme di fruizione sulla musica che hanno inciso sulle forme classiche. Un esempio è quello degli album, venuti meno in parte non solo come oggetti fisici, ma anche come oggetti ‘concettuali’.

In un contesto in cui è possibile personalizzare nei più svariati modi possibili i propri ascolti, diventa quasi obsoleto, in un’ottica di mercato, pubblicare un album con una coerenza interna ogni tot di anni (solitamente due). Il mercato digitale tende a spingere gli artisti a pubblicare singoli separati tra loro con una buona frequenza mensile in grado di essere inseriti nelle più svariate playlist. Tutto ciò non è certo esente da ‘effetti collaterali’.

La sensazione è che comunque, una volta terminato questo periodo, questi fenomeni possano accentuarsi e che, come tutti gli altri settori, anche nella musica andranno ridiscusse tante cose.

a cura di
Angelo Baldini

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Angelo Baldini

Nato a Napoli nel 1996 studia Giornalismo e cultura Editoriale presso l'Università degli studi di Parma. Collabora con Eroica Fenice di Napoli e con ParmAteneo. Crede in poche cose: in Pif, in Isaac Asimov, in Gigione e nella calma e nella pazienza di mia nonna Teresa.

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