The Strokes, il ritorno con The New Abnormal
Se c’è una band che negli ultimi vent’anni ha riportato in auge il riff di chitarra, questi sono i The Strokes. Autori di due dischi pazzeschi come Is This It e Room On Fire, da ormai tre lustri Julian Casablancas e soci sembrano aver perso ispirazione. Per non dire la bussola, in ogni senso, tra rehab e una storia della band sempre in bilico tra il continuare e lo scioglimento; il tutto inframmentato da sporadici tour come band e carriere soliste avviate con più o meno successo.
The New Abnormal arriva a ben sette anni dal precedente Comedown Machine e per chi si aspetta i fasti degli esordi, c’è poco da dire: non è il vostro territorio. Sulla nuova fatica dei newyorkesi non ci credeva nessuno, molto probabilmente nemmeno loro. Ma proprio interpretando questo disco come appartenente alla seconda natura del gruppo di Julian Casablancas e soci, quella idealmente iniziata con Angles, ci si trova di fronte ad un capitolo che mantiene un suo senso.
Qui i The Strokes ammettono in musica che gli anni passano anche per loro. Non manca lo spazio per il rock, sia chiaro, ma in The New Abnormal si fa più raffinato e influenzato dagli anni Ottanta. La voce di Julian Casablancas, croce e delizia della band soprattutto in sede live, dimostra una certa versatilità; i falsetti riusciti, ad esempio, sono il sintomo di una certa maturità artistica raggiunta dopo le incertezze del passato. Ci sono tanti anni Ottanta, e non solo sui synth di Brooklyn Bridge To Chorus: tutta l’opera è una sorta di omaggio a quell’epoca musicale, chiaramente vista in chiave Strokes. Si sentono tributi agli Eighties nelle liriche, ma anche echi di Billy Idol (Bad Decisions) e tutto il disco sembra figlio di un’epoca ormai lontana.
La presenza di Rick Rubin in cabina di regia non aggiunge nulla a livello sonoro: la sua impronta di fatto è impercettibile. Ma la sua capacità di leadership e di coordinamento delle forze ha sicuramente giovato al ritorno dei The Strokes dopo una lunga assenza. Perché, pur essendo l’opera di un’altra band rispetto a quella di Last Nite, rimane l’album più convincente di quella che è di fatto la loro seconda parte della carriera.
a cura di
Nicola Lucchetta