Jojo Rabbit, quando essere un coniglio è meglio che essere nazista

Jojo Rabbit, quando essere un coniglio è meglio che essere nazista
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Jojo Rabbit è una commedia irriverente del 2019 diretta da Taika Waititi, liberamente ispirata al romanzo di Christine Leunens, Come semi d’autunno del 2004.

Protagonista della storia è Jojo Betzler (Roman Griffin Davis) un bambino di 10 anni con una fede spropositata per il nazismo, e un amico immaginario di nome Adolf Hitler (interpretato dal regista Taika Waititi). 

Jojo vive con la mamma Rosie (Scarlett Johansson), donna allegra e anticonformista, perché il padre è morto in guerra e la sorella maggiore di malattia.

I suoi unici amici sono Yorki un bambino della sua stessa età che, come lui, è cresciuto seguendo i precetti del Nazismo e Hitler il suo idolo, o meglio, una versione immaginaria del famoso Fuhrer, simpatica ed esilarante. Con lui il bambino parla e si confronta su tutto ciò che gli accade.

Il soprannome Coniglio

Questo nome viene dato a Jojo quando, durante una riunione della Gioventù Hitleriana, il Capitano Klenzendorf (Sam Rockwell) gli ordina di uccidere un coniglietto e lui non trova il coraggio di farlo.

Tutti gli adulti e i bambini lo deridono e Jojo scappa nel bosco. Hitler consola il bambino e gli fa notare come essere definito “coniglio” non sia poi così male, poiché questi animali sopravvivono affrontando mille difficoltà.

Incoraggiato dalle parole di Hitler, il bambino ritorna dal gruppo e cerca di impressionarlo. Lancia infatti una granata Stielhandgranate 24, anche detta granata schiacciapatate, facendola esplodere e provocandosi diverse ferite al volto e alla gamba.

Dopo le tremende umiliazioni, le ferite permanenti sul corpo e le continue prese in giro, l’autostima del bambino scende in modo considerevole.

In lui nasce l’idea di essere diventato un mostro (sebbene le ferite sul suo volto non siano così evidenti); mentre la mamma accorre in suo soccorso intimando al Comandante di non escluderlo dal gruppo. Il bambino viene quindi incaricato di occuparsi della propaganda nazista.

La vicenda entra nel vivo quando Jojo scopre che la madre nasconde una ragazzina ebrea nella sua stanza

Si chiama Elsa ( Thomasine McKenzie), ed è una vecchia compagna di classe di sua sorella. Jojo, fanatico delle idee naziste, è deciso a consegnarla alla polizia, ma la ragazza gli fa notare che se lo facesse, sua madre verrebbe uccisa.

Il bambino decide di sfruttare la situazione a suo vantaggio, cercando di carpire più informazioni possibili sullarazza ebraica, al fine di scriverne un libro e impressionare il Capitano Klenzendorf. 

Una solida amicizia

Nel frattempo, tra i due inizia crearsi un solido legame d’amicizia, che inizialmente è conflittuale, poiché Elsa lo prende in giro per il suo fanatismo ( dicendogli che gli ebrei sono demoni con le corna, brutti, deformi e non civilizzati) e facendogli credere cose assurde (come il fatto che riescano a leggere nella mente delle persone).

Il legame diventa più sincero, specialmente quando Elsa confiderà a Jojo di avere un fidanzato di nome Nathan, militante nella Resistenza, che vorrebbe tanto rincontrare dopo la guerra. 

Il legame con Elsa confonde Jojo. Nel suo piccolo mondo, costruito sulle bugie, c’è la ferma convinzione che gli ebrei siano il nemico, mentre la razza Ariana sia una “razza superiore” il cui compito è quello di combatterli. 

Jojo ha parecchie discussioni con Hitler che, ovviamente, vorrebbe che smettesse di proteggere la ragazza e la denunciasse alla Gestapo, ma il bambino prova sentimenti contrastanti: litiga con la madre perché sta rischiando la sua vita per nascondere Elsa, ma non può rivelarle di averlo scoperto.

Il mondo di JoJo viene stravolto

Nella sua giovane mente, molto sensibile e manipolabile, sono ben radicate le idee e i valori antisemiti, ma allo stesso tempo sa che  Elsa non è quel mostro di cui i nazisti parlano.

Elsa racconta a Jojo dell’amore che prova per Nathan, spiegandogli che un giorno anche lui sentirà le famigerate farfalle nello stomaco, ma lui la prende in giro e si rifiuta di crederlo. Il bello è che col passare del tempo, sarà proprio Elsa a provocargli tali turbamenti. 

Un giorno la Gestapo si presenta a casa loro, ed Elsa è costretta ad uscire dal nascondiglio per fingere di essere la sorella maggiore di Jojo, Inga, che in realtà è deceduta a causa di una malattia.

Interrogata dal Comandante Klenzendorf circa i suoi dati personali, la ragazza mostra il documento d’identità di Inga ma non riesce ad indovinare la sua data di nascita. La polizia se ne va, e i ragazzi capiscono che Klenzendorf , pur sapendo che Elsa ha mentito, non li ha denunciati.

Una volta scampato il pericolo, Jojo scopre che la madre è stata impiccata nella piazza, assieme agli altri oppositori politici

Intanto il regime nazista è giunto al suo epilogo, e mentre gli Alleati entrano nella città per liberarla, Jojo viene a sapere che Hitler si è suicidato, e che l’intera storia del Reich si basava su delle menzogne.

Vagando per la città devastata dai bombardamenti, Jojo, confuso e spaventato, viene catturato dai soldati russi, ma riesce a scappare dal plotone di esecuzione grazie al Capitano Klenzendorf, che finge che il bambino sia ebreo, e lo manda via.

Jojo torna a casa

Jojo riesce a tornare a casa e quando Elsa gli domanda chi abbia vinto la guerra. Il bambino mente dicendo che sono stati i tedeschi a vincerla.

Chiaramente, la paura di Jojo è quella di essere abbandonato anche da Elsa, dato che la madre è morta.

Dopodiché, la ragazza rivela al bambino che in realtà anche Nathan, il suo ragazzo, è morto l’anno prima a causa di una malattia, e quindi Jojo è costretto a dirle la verità.

Dopo un’ultima discussione con Hitler che vuole convincerlo a rimanere con a lui, Jojo tira un poderoso calcio al suo, ormai ex amico immaginario, facendolo cadere fuori dalla finestra e liberandosi per sempre dal suo giogo.

È tutto finito

Elsa e Jojo scendono in strada e si rendono conto che è davvero tutto finito: la ragazza inizia ad accennare dei passi di danza, e il bambino la segue a ruota. Il primo desiderio di Elsa, una volta libera, era proprio quello di ballare.

La guerra è finalmente finita

In corsa per il titolo di miglior film agli Academy Awards, e per altre nomination come quella di miglior sceneggiatura non originale e miglior attrice non protagonista per Scarlett Johansson, ha inoltre due candidature ai Golden Globes.

Jojo Rabbit non è il solito film sulla Seconda Guerra Mondiale, perché è originale e riesce a strappare più di un sorriso. 

Il regista neozelandese Taika Waititi, che tra le altre cose è ebreo, ha svolto diverse ricerche sulla Germania dell’epoca per ricreare i costumi.

Nel film, infatti, nemmeno i nazisti si prendono troppo sul serio. In una scena, il Capitano Klenzendorf fa vedere a Jojo il disegno della sua nuova divisa, non di certo la tipica divisa nazista, dato che ha le frange e un lungo mantello rosso. Inoltre il Capitano è sempre in compagnia del suo fidato consigliere Finkel, chiaramente effemminato.

Il Fuhrer stesso, interpretato da Waititi, non fa assolutamente paura: lo vediamo a tavola mentre suggerisce a Jojo cosa dire quando lui sta litigando con la madre, mentre corre allegramente con lui e lo incita a lanciare la granata più lontano possibile, e mentre veste un copricapo indiano.

Anche i capi della Gioventù Hitleriana, il cui compito è quello di indottrinare i bambini, non risultano per niente terrificanti.

Ridiamo quando Fraulein Rahm ( Rebel Wilson) esorta i bambini  a “bruciare qualche libro, così per divertimento”; o quando disegna sulla lavagna il “tipico uomo ebreo”, un demone con le corna che vive nelle caverne come i pipistrelli.

Le stravanganze del Nazismo

Le stravaganze del Nazismo vengono ridicolizzate anche quando i personaggi ripetono il famoso saluto nazista, Heil Hitler, ogni volta che una persona nuova entra nella stanza. Quando i membri della Gestapo si presentano a casa di Jojo, il saluto viene pronunciato qualcosa come 31 volte!

Quando Elsa si diverte ad inventare storie assurde sugli ebrei, solo per impressionare Jojo, che ovviamente crede a tutto: crede addirittura al fatto che abbiano il potere di entrare nella mente delle persone. 

Il film fa sorridere, ma anche riflettere sulle tante contraddittorietà delle ideologie estreme, quelle imparate a tavolino e non discusse.

In una scena questa contraddittorietà viene mostrata bene. Jojo chiede a Elsa dove vivano gli ebrei e lei gli fa un disegno del suo volto: “È lì che vivono: nella tua mente”.

Il film rappresenta bene le diverse sfaccettature dei personaggi, né buoni né cattivi. Il Capitano Klenzendorf lascia andare Elsa anche se sa che ha mentito sulla sua identità e, nel finale, salva Jojo dalla fucilazione, fingendo sia un ebreo. 

Infine, vediamo come Jojo alla fin fine sia solo un’innocente. Nonostante per tutto il film sia un convinto sostenitore delle idee naziste, non è un vero nazista. Si tratta solo un bambino che è stato plagiato e che ha voluto credere in qualcosa per poter far parte di un gruppo.

Un bambino in grado di amare, come tutti. E non di certo di odiare, e benché meno di uccidere

Il film merita anche solo per la bella colonna sonora (per citarne uno, David Bowie alla fine). 

a cura di
Silvia Ruffaldi

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Silvia Ruffaldi

Silvia ha studiato Scienze della Comunicazione a Reggio Emilia con il preciso scopo di seguire la strada del giornalismo, passione che l’ha “contagiata” alle superiori, quando, adolescente e ancora insicura non aveva idea di cosa avrebbe voluto fare nella vita. Il primo impatto con questo mondo l’ha avuto leggendo per caso i racconti/reportage di guerra di Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Da lì in poi è stato amore vero, e ha capito che se c’era una cosa che voleva fare nella vita (e che le veniva anche discretamente bene), questa doveva avere a che fare in qualche modo con la scrittura. La penna le permette di esprimere se stessa, molto più di mille parole. Ma dato che il mestiere dell’inviato di guerra può risultare un tantino pericoloso, ha deciso di perseguire il suo sogno, rimanendo coi piedi ben piantati a terra e nel 2019 ha preso la laurea Magistrale in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Delle sue letture adolescenziali le è rimasto un profondo senso di giustizia, e il desiderio utopico di salvare il mondo ( progetto poco ambizioso, voi che dite ?).

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