La Camera Azzurra – Spazio Tondelli di Riccione – 10 Gennaio 2020

La Camera Azzurra – Spazio Tondelli di Riccione – 10 Gennaio 2020
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Quando il sipario si apre, allo Spazio Tondelli di Riccione, siamo catapultati all’interno di una camera azzurra. I due protagonisti, Tony e Andrèe, hanno appena fatto l’amore. Inizia così la trasposizione teatrale de La camera azzurra, il romanzo che Georges Simenon scrisse nel 1963. In scena ci sono quattro personaggi: lui e lei, ovvero Tony e Andrèe (interpretati rispettivamente da Fabio Troiano e Irene Ferri), il Giudice (Mattia Fabris) e la moglie di Tony, Giselle (Giulia Maulucci). La regia dello spettacolo è di Serena Sinigaglia mentre l’adattamento teatrale è di Letizia Russo.

Il colore che domina la scena è l’azzurro. Azzurre sono le pareti di questa stanza sbilenca, azzurro il letto, le tende, il pavimento, azzurri gli abiti indossati da Tony, Giselle e Andrèe. C’è un solo angolo in ombra: quello in cui si nasconde il Giudice, un poliziotto che sta facendo le indagini, l’unico a non indossare indumenti azzurri.

Tony e Andrèe sono amanti e si incontrano all’insaputa dei rispettivi compagni all’interno della camera azzurra di un hotel, sempre di giovedì, per undici mesi. La loro è una passione senza freni. Nella camera azzurra sono accusati di aver commesso un duplice omicidio, quello dei rispettivi coniugi, entrambi avvelenati dalla stricnina. L’interrogatorio è estenuante. Il Giudice, per cercare la verità, li costringe a ripetere fino all’esasperazione racconti e a rivivere momenti della loro relazione, come a dimostrare che, anche nelle manifestazioni più intime e spontanee del desiderio, si può nascondere una forma di ipocrisia. Individuare i colpevoli però non è l’aspetto più interessante dello spettacolo. O almeno, non lo è più dell’analisi che viene fatta dell’animo umano, dei suoi desideri e dei segreti che riesce a custodire.

La chembre bleue è un racconto dove la sensualità si mescola al mistero, il tradimento all’omicidio.
La storia è ambientata nella provincia francese, bigotta e giudicante. In quel periodo storico, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, la Nouvelle Vague, al cinema, criticava il perbenismo di facciata della piccola borghesia francese e iniziava a mostrare una figura femminile nuova, più indipendente, più libera, più emancipata, con una inedita sessualità sbrigliata. Tutte caratteristiche che è facile ritrovare anche nel personaggio di Andrèe. Diametralmente opposta a lei c’è Giselle. Insicura, impaurita, goffa.

La storia si genera dall’interazione di due elementi opposti che si incontrano: il caos, quello della passione degli amanti e della personalità di Andrèe, e l’ordine, che si può ritrovare nella placida vita familiare di Tony e nelle sue abitudini. Al centro di queste tensioni prende vita la relazione tra i due personaggi principali, che non potrebbero essere più diversi: sfacciata e sensuale lei, confuso e fragile lui. Ed è proprio il personaggio di Tony a mettere in moto i meccanismi che portano lui e la sua amante a fronteggiare l’accusa di omicidio, e lo fa senza quasi accorgersene, senza motivo apparente. “Se fossimo entrambi liberi, vorresti passare la vita con me?”. “Certo”, risponde Tony. Parole pronunciate senza riflettere. L’inizio della fine.

Al contrario del romanzo di Simenon però, qui il vero protagonista della storia è il Giudice, apparentemente ossessionato dalla risoluzione del caso, ma coinvolto in una passione simile a quella di Tony e Andrèe e alla disperata ricerca di un’assoluzione per le proprie colpe. Non ci sono più vittime e carnefici, tutti i ruoli vengono ribaltati.

La sceneggiatura non scopre subito le carte del racconto, che viene svelato un poco alla volta grazie ai flashback. Il libro di Simenon non viene seguito alla lettera, in particolar modo nel finale. Il risultato è quasi un soggetto inedito ma, come dicevo, quello che conta non è tanto la storia, quanto l’analisi che viene fatta sulle pulsioni più profonde dell’animo umano.
La Camera azzurra è il prodotto di un lavoro di sottrazione, che affascina proprio per quello che non dice.

“L’azzurro di quella camera”, dirà Tony, “mi ricordava quello della liscivia”. Sua madre lo mandava ad acquistarla, in sacchetti di tela grezza. La polvere colorata veniva diluita nella tinozza del bucato, prima di risciacquare la biancheria. Incredibile come una polvere azzurra potesse rendere tanto bianchi i lenzuoli. Incredibile come l’azzurro di quella camera potesse sbiancare le coscienze e rendere le anime di nuovo immacolate come se niente fosse mai successo.

A cura di
Daniela Fabbri

Foto di Laila Pozzo (dal web)

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Daniela Fabbri

Sono nata nella ridente Rèmne, Riviera Romagnola, nel 1985. Copywriter. Leggo e scrivo da sempre. Ho divorato enormi quantità di libri, ma non solo: buona forchetta, amo i racconti brevi, i viaggi lunghi, le cartoline, gli ideali e chi ci crede. Nutro un amore, profondo e viscerale, per la musica, in tutte le sue forme. Sono fermamente convinta che ogni momento della vita debba avere una colonna sonora. Potendo scegliere, vorrei che la mia esistenza fosse vissuta lentamente, come un blues, e invece sono sempre di corsa. Mi piacciono gli animali. Cani, gatti, procioni. Tutti.

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