Il Maestro e Margherita – Teatro Rossini Pesaro – 21 Novembre 2019

Il Maestro e Margherita – Teatro Rossini Pesaro – 21 Novembre 2019
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Please allow me to introduce mysel
I’m a man of wealth and taste
I’ve been around for a long, long years
Stole many a man’s soul and faith
And I was ’round when Jesus Christ
Had his moment of doubt and pain
Made damn sure that Pilate
Washed his hands and sealed his fate”

In una vecchia intervista Mick Jagger dichiarò di essersi ispirato al romanzo dello scrittore russo Michail Afanas’evič Bulgakov, Il Maestro e Margherita, per le strofe di Sympathy for the Devil. E proprio il personaggio del diavolo fa da il filo conduttore allo spettacolo che porta in scena le oltre trecento pagine scritte e riscritte da Bulgakov, tra il 1928 e il 1940.

Nel teatro buio arde un libro, una donna gli si getta sopra per tentare di spegnerlo, ma tutto finisce in cenere. Il libro e il legame tra Margherita e il Maestro.
Subito dopo, il diavolo Woland, interpretato da Michele Riondino, entra in scena. Claudicante, con una voce affumicata e impastata di catrame, si intromette in una conversazione tra il critico Berlioz e il poeta Ivan Nikolaevic sull’esistenza di dio. Woland demolisce l’arroganza dei due intellettuali e preannuncia la morte di Berlioz, che avviene di lì a qualche ora, dimostrando loro che si sbagliavano: dio esiste, il diavolo esiste, e come contrappasso instilla in Ivan il germe della follia, in contrasto con la razionalità che fino a prima ostentava orgogliosamente, insieme al compagno Berlioz, dichiarandosi ateo.

Il Maestro e Margherita

La morte del critico avviene proprio sotto gli occhi del poeta, sconvolgendolo a tal punto da condurlo in una clinica psichiatrica. Lì incontra il Maestro, uno scrittore disperato che ha deciso di auto-recludersi e allontanarsi dal suo amore, Margherita. Il Maestro è stato infatti ostracizzato dal mondo letterario russo: al suo romanzo su Ponzio Pilato e sul processo di Gesù a Gerusalemme è stata negata la pubblicazione. La censura nella Russia di quegli anni impediva la diffusione di qualunque questione religiosa, perfino sotto la forma più innocua di problema irrisolto.

Il Maestro e Margherita è ambientato in una Mosca cupa e ostile. Un mondo, quello sovietico degli anni Trenta, permeato dall’ateismo e dalla razionalità. Qui, la comparsa del diavolo, nei panni dell’affascinante e sulfureo Woland, crea una frattura e finisce per aprire a metà il rigido razionalismo instillando al suo interno il seme del dubbio.

L’adattamento teatrale, in scena in questi giorni al Teatro Rossini di Pesaro, è stato realizzato dalla drammaturga Letizia Russo e dal regista Andrea Baracco, con produzione dal Teatro Stabile dell’Umbria.

Il romanzo di Bulgakov è uno dei più importanti della letteratura russa del Novecento e al suo interno si intrecciano tre diverse linee narrative: l’arrivo a Mosca del diavolo insieme ai suoi tre aiutanti, la storia d’amore tra Margherita e il Maestro e la vicenda di Ponzio Pilato.
L’idea è coraggiosa. La costruzione del romanzo però non è facile e portarlo a teatro è un’impresa complicata. La compagnia, in questo caso, non solo riesce nell’esperimento, ma fa gridare al miracolo.
La riscrittura di Letizia Russo restituisce a Il Maestro e Margherita una nuova vita sul palcoscenico: il lavoro che è stato fatto sul testo è di sottrazione e riesce a condensare le tematiche principali senza trascurarne nessun aspetto, sia narrativo che filosofico.

La scenografia è costituita da tre pareti di ardesia su cui risaltano graffiti e didascalie. La più emblematica “liberati dal maligno sono rimasti maligni”, presa in prestito al Faust di Goethe, è un chiaro riferimento alla duplice essenza della natura umana, permeata dal desiderio di vendetta e dal rancore. Dentro questa enorme lavagna i personaggi entrano ed escono da porte invisibili.

Il Maestro e Margherita

I piani narrativi si intrecciano all’interno dello spettacolo senza nodi, grazie ad un’ottima sceneggiatura e ad un gruppo di attori indiscutibilmente talentuosi. Su tutti: Francesco Bonomo, nelle vesti di Pilato e del Maestro, Federica Rosellini, Margherita, perfetta nella recitazione fisica anche se a volte un po’ esasperata, e Oskar Winiarski, nelle vesti del poeta Ivan e di Gesù.
Woland e la sua corte dei miracoli, personaggi inquietanti come il gatto Behemot, la strega Hella e il sicario Azazello, tengono le fila del racconto. E proprio Riondino dà vita ad un diavolo più affascinante che inquietante, nascosto dietro ad un trucco clownesco.

A muovere la storia sono i paradossi: è grazie al principe degli inferi che si affermerà la presenza di dio. La risata isterica di Woland sottolinea le verità che gli uomini non vogliono ammettere a se stessi. Ma è questo che fa il diavolo: tesse trappole e inganni, fa saltare teste e scorrere il sangue. Così, mentre le streghe volano sul cielo di Mosca, si arriva al finale. Woland si prende gioco di dio ancora una volta, spingendo Margherita e il Maestro alla dannazione eterna, ma anche alla liberazione, permettendo loro di unirsi a lui, sulle note di Magneto di Nick Cave.

Guardali gli uomini che scelgono, nonostante te. Amali se puoi, come li amo io. È anche il mio mondo. Mia è la libertà, mia la rivolta” dice Woland, sfidando dio, l’ordine e il regime, con un atto d’accusa tra i più umani possibile. Furono infatti i rivoluzionari russi a parlare del diavolo come di un “dio del proletariato”. Perché sì, il diavolo è il male, ma è anche il reietto, l’escluso. Colui che non ha trovato il proprio posto all’interno del piano divino e che ha avuto il coraggio di ribellarsi all’ordine precostituito.

A cura di:
Daniela Fabbri

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Daniela Fabbri

Sono nata nella ridente Rèmne, Riviera Romagnola, nel 1985. Copywriter. Leggo e scrivo da sempre. Ho divorato enormi quantità di libri, ma non solo: buona forchetta, amo i racconti brevi, i viaggi lunghi, le cartoline, gli ideali e chi ci crede. Nutro un amore, profondo e viscerale, per la musica, in tutte le sue forme. Sono fermamente convinta che ogni momento della vita debba avere una colonna sonora. Potendo scegliere, vorrei che la mia esistenza fosse vissuta lentamente, come un blues, e invece sono sempre di corsa. Mi piacciono gli animali. Cani, gatti, procioni. Tutti.

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