Diario di una Band – Capitolo Quindici

Diario di una Band – Capitolo Quindici
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Cerco le qualità che non rendono

 in questa razza umana che adora gli orologi

ma non conosce il tempo

CCCP Fedeli alla linea

Ci sono blocchi, dell’anima, dello spirito, dello stimolo, dell’entusiasmo. E’ inevitabile, è il gioco dell’altalena che disegna i picchi ascendenti e discendenti di noi poveri diavoli che abbiamo scelto una vita sulle montagne russe. L’abitudine bussa alle porte di tanto in tanto a ricordarci che essere stanchi è una parentesi graffa inevitabile e schiacciante.

Moralmente inadeguato e poco rispettoso per chi farebbe carte false per essere sul sedile che mi sta portando a Brandeburgo, lo so, ma davvero capita che il peso della meccanica e favolosa (in questo caso) abitudine, riservi attimi di sconforto e lacerazione. Il dubbio dell’età, degli obiettivi obbligati, delle priorità, del denaro, dell’amore. Tutto si mescola in un turbinio che prende la forma perfetta dello sciacquone del cesso dell’autogrill che ci aspetta alla prossima sosta.

Ogni partenza è un sasso lanciato nel laghetto, l’attesa di vedere ricomporre lo specchio nell’acqua diviene un po’ come gli attimi precedenti al rigore di Grosso del 2006. E figuriamoci, sono fiero di quel che è venuto, ancor di più di quel che se n’è andato. Sono fiero del generoso rapporto che credo di avere con l’universo, ricercando sempre uno scambio equo.

Noie passeggere, nuvole momentanee, la consapevolezza di tante solide fondamenta su cui appoggiare i piedi, ma sempre quel pizzico di acido a toccare la gola a ogni boccone ingerito. Non è questione di essere viziati, non è sopravvalutarsi, alla mia età non si parla di capricci, quindi è bene fare un’analisi sull’essere, un profondo e crudo spettrogramma analitico, possibilmente sincero. E non sempre è facile in condizioni di continua ricerca.

Ho sempre pensato che un giorno avrei avuto la necessità di avere dei punti di approdo, dove sedimentare l’anima e farla digerire dalle scorpacciate di frenesia che mi ingrassano dalla nascita. Ma mi accorgo, momento dopo momento che quel prefissato ormeggiare si allontana sempre più, perché è la natura, nel bene e nel male di chi cerca giornalmente nella musica la motivazione per alzarsi dal letto la mattina seguente. Il classico “farei ma però” che ho incastonato in una delle canzoni del vecchio album.

Non riesco a vendermi a me stesso, come potrei farlo scrivendo canzoni che non mi rappresentano? Potrebbe essere una citazione di J Ax ma sorvoliamo l’ironia.

La frustrazione dilaga, il pessimismo incalza, la nuvola pur se passeggera s’ingigantisce e s’incupisce, lanciando fulmini di scherno, facendo ribaltare la barchetta su di uno sputo d’acqua prosciugato e stantio.

E vedi, la gentaglia che mai ti sei permesso di giudicare fino a ora, vederla nuotare nell’oblio dell’inutilità e in linea di massima scorgerla felice, grata della catena invisibile che la lega a un meccanismo quotidiano di ricerca dello sterile spacciato come polvere magica. La invidi pure e resetti la profondità della tua maledetta e inerpicata esistenza idealista, stringendo la questione ai tre metri di terra che tutti, in tutti i casi avremmo inevitabilmete sopra di noi, prima o poi.

Sono guerre passeggere, lasciano solchi a prescindere, mietono insicurezza e stendono anche il più volenteroso dei guerrieri. Nei momenti peggiori, quando la negatività va tenuta alla larga per il bene comune sopratutto, come un tour estero pronto a partire, come nel momento dell’anno che più puoi amare, come nel mio caso l’arrivo dell’autunno. Mi duole dirlo ma è cosi, non c’è regola per andare in crisi e non c’è medicina che serva. L’inquietudine che certe persone trasmettono, la putrefazione dell’eterno lottare ogni tanto chiedono al corpo e all’anima una tregua indispensabile. Uno stop per preservare ciò che di buono è stato fatto fino ad ora, per non rinunciare allo stare bene domani. Sviscerarsi, per conoscere i tempi vitali, forse questo è il segreto tra i più complessi per uomini pensanti, che della meraviglia vogliono anche l’essenza invisibile. Il tempo giusto, per la canzone giusta, il tempo esatto per uno stop necessario, il tempo per alzare la voce, il tempo per mordersi la lingua, il tempo per stringere i denti. Tutto è correlato alla dinamica scandita dagli attimi, le precisazioni e le cadute sono un richiamo all’ordine, perché qualcosa è scivolato troppo in fretta o troppo lentamente.

A differenza del più popolare “Chronos”, figura che rappresenta il tempo che scorre, misurato, che divora l’esistenza, vorrei vestirmi dell’effige di “Kairos” che in greco antico significa “momento opportuno”. Il preciso istante in cui interverrà qualcosa che muterà lo stato attuale del percorso. Per gli insanabili, se pur complessi ottimisti si può riassumere come il momento propizio, l’ora giusta per l’opportunità.

Esentare dal tempo per come lo conosciamo, ribellarsi al dominio infimo del convenzionale e trasportare l’energia laddove le leggi della natura possano essere da conforto. Il senso dell’attimo, trovare in una rottura una conseguenziale rinascita, sviscerando connessioni ripetute tra il tempo goduto e il riempimento che solo noi possiamo attribuirgli, personalizzando in maniera unica ed inimitabile la nostra vita e la nostra storia, divenire eterni insomma, fottendo l’ordinario e sopratutto le nostre paure esistenziali.

In fin dei conti “lottare” con una canzone è sempre una questione di tempo, imbrigliarlo conta poco se non ci si disintossica dalle sue leggi, e forse è credibile e fattibile combatterlo con le sue stessi tecniche.

Ora sono nel secondo locale del tour, nel secondo giorno di tour tedesco a Dusseldorf, accompagnato da un caffè abbastanza decente per la lontananza dall’Italia, abbastanza sereno nell’anima, ora, dopo un grande show stanotte, dopo essermi rispecchiato nell’entusiasmo di Andreas, 50enne Rockettaro che probabilmente ha speso la sua intera vita per questo locale che divulga musica, dal vivo.

Non puoi farci i conti col tempo, non puoi fare i conti coi momenti forse, ma la musica insegna anche che i conti con le persone è bene farli. Gli spunti buoni, gli sguardi giusti, gli attimi da cogliere sono sempre a portata.

La strada è sempre un’infinita palestra di vita, il tempo può adattarsi ad essa e non essere giudice inappellabile, come siamo ormai drammaticamente abituati a vederlo.

Prospettive.

a cura di

Vasco Bartowski Abbondanza

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Vasco Bartowski Abbondanza

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