Marlene Kuntz: trent’anni di lotta e non è ancora finita

Marlene Kuntz: trent’anni di lotta e non è ancora finita
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Poi Catartica uscì. Da quel momento in avanti fummo ben decisi a giocarcela fino in fondo. Cosa che, in fin dei conti, stiamo facendo tuttora, lottando e lottando“.

Voglio iniziare così, citando la quarta di copertina del libro Nuotando nell’Aria, dove Cristiano Godano racconta quello che si nasconde dietro alle trentacinque canzoni che compongono i primi tre album dei Marlene Kuntz: Catartica, Il Vile e Ho ucciso Paranoia. I primi di un lungo percorso iniziato alla fine degli anni Ottanta e arrivato fino ad oggi.
I Marlene sono una band in continua evoluzione, mai uguale a se stessa, e sempre in lotta. Con se stessi, con i preconcetti e le rigidità, con le brutture e le divisioni. Negli anni sono riusciti a conservare il fragore e gli schianti degli albori, mitigati oggi da una maggiore dolcezza. Anime diverse che da sempre convivono, più o meno pacificamente, nella pancia di uno dei gruppi più importanti della musica alternativa in Italia.

Proprio i Marlene Kuntz saranno al Vidia, a Cesena, il 5 Ottobre prossimo, per una tappa del loro ultimo tour, MK al quadrato. Sono riuscita a fare due chiacchiere con Cristiano, durante le prove del gruppo, e mi sono fatta raccontare qualcosa in più su questi ultimi trent’anni di musica.


I Marlene sono attivi dal 1987, dopo i 30 di solito si fanno dei bilanci: cosa siete diventati in questi ultimi trent’anni?

Forse alcuni bilanci si iniziano a fare già dopo dieci o vent’anni, quando ci si stupisce di esserci ancora. Dopo trenta lo stupore diventa enorme! Intanto siamo stupiti di essere un gruppo che da trent’anni sta insieme. C’è di mezzo una componente molto forte legata alla stima e all’amicizia reciproca, ma non è esattamente una cosa facile immaginare di stare trent’anni insieme e dividere la sale prove, per così tanto tempo. Quindi il bilancio, intanto, parte da qua.
Abbiamo cercato di evolverci e non rimanere fermi su noi stessi, abbiamo sempre avuto questo principio della creatività e dell’arte, quindi ogni nostro disco si muove da questa esigenza di non ripeterci e di non cadere nella trappola del cliché. In questi trent’anni abbiamo sempre cercato di dare il meglio di noi provando a non ripeterci mai.

Anche il tuo modo di scrivere canzoni è cambiato rispetto agli inizi?

Secondo me c’è il valore della consapevolezza, che va usato con saggezza. Io ho scritto almeno centotrenta, centoquaranta canzoni. Dopo un po’ ti chiedi di che cosa stai parlando e come fare per non ripetersi e dire, anche qui, sempre le stesse cose. Centotrenta canzoni sono tante. Centotrenta oggetti di narrazione diversi non è facile averli, però con la consapevolezza c’è modo di rifletterci e capire come mantenere alto il livello della creatività. E quindi, sempre con consapevolezza, capisci come ottenerla questa creatività. Nel mio caso ho scoperto che con le parole ci devi saper giocare, quindi da una ovvia componente istintiva nella prima parte della mia carriera, quando la consapevolezza non c’era, il passaggio è stato quello a una componente più razionale, ma mai paracula. E per paracula intendo che a volte uno scopre quali sono i segreti del proprio successo e ci rigira intorno, per trattenere questo successo con dei trucchi. Io non penso di aver usato dei trucchi, ma credo di aver cercato degli espedienti per migliorarmi sapendo quello che stavo facendo. Se a vent’anni non lo sapevo, ora lo so. E quindi c’è di mezzo un raziocinio, una riflessione, che ti porta a scrivere dei testi meno istintivi e più razionali.

Per questo discorso di cambiamento, di evoluzione che c’è nel tuo modo di scrivere canzoni, così come nel vostro suono all’interno dei Marlene, come ti senti quando canti qualcosa che hai scritto venti o trent’anni fa?

Noi siamo un gruppo che si è sempre ricordato di quello che è stato fatto in precedenza. Le scalette sono sempre state infarcite del nostro percorso, non abbiamo mai dimenticato la prima parte della nostra carriera, quindi ci sono moltissimi pezzi a cui sono abituato. Nel corso degli anni non li ho “dimenticati”, sono cresciuto con loro e non c’è tutta questa frattura quando eseguo canzoni che sono state scritte trent’anni fa, perché sono trent’anni che le faccio. Penso a Sonica o Nuotando nell’Aria, ovviamente, visto che sono i pezzi più acclamati dal nostro pubblico, ma anche le altre nel corso del tempo le abbiamo sempre fatte rigirare. Ce ne sono pochissime che abbiamo suonato raramente. E quando riaffronto quelle, più che altro, mi ricordo di cosa avevo scritto quando avevo pensato a quella canzone. Poi dopo questo momento di epifania o di rivelazione che mi porta a dire “ah, già! Avevo scritto anche questa canzone qua”, vado sul palco e cerco di fare in modo che siano credibili, nonostante trent’anni di vita.

Proprio riguardo a questo, il 5 Ottobre sarete a Cesena con il vostro tour: MK al quadrato. Ho letto che si tratta di concerti doppi, due per ogni serata: un primo acustico e un secondo elettrico, per un totale di quasi tre ore di spettacolo. Come è stato prendere un disco di vent’anni fa come Ho ucciso paranoia e riproporlo per intero anni dopo? Cosa dobbiamo aspettarci da questo tour?

Bisogna aspettarsi una band che è sempre molto vogliosa di salire sul palco. Dopo un po’ che ci fermiamo, scalpitiamo. Quindi ci si deve aspettare una band estremamente vitale. Chiaro che non ci si deve aspettare una band che salti sul palco come vent’anni fa, perché non abbiamo più quell’età. Quindi saltiamo conformemente ai cinquant’anni che abbiamo (ride, nrd). Però la vitalità c’è, la voglia c’è, e c’è anche una grande capacità di gestire il suono delle proprie chitarre. Quindi ci si deve aspettare una trasposizione di Ho ucciso Paranoia competente, potente, efficace e che sa far tornare le persone a vent’anni fa. Chi tornerà a vederci, chi conosce il disco e l’ha ascoltato quando uscì, si deve aspettare di rivivere quelle emozioni.

Marlene Kuntz

Hai detto tante volte che Uno è stato un buon disco, anche se non sempre apprezzato dai fan “duri e puri” e nel tuo libro ricordi spesso quanto sia noioso sentirsi dire che i Marlene “autentici” siano quelli dei primi tre dischi. Quanto è stato importante rimanere fedeli a voi stessi e quanto cambiare idea?

Non direi che abbiamo cambiato idea, noi siamo in evoluzione. Ogni giorno è un piccolo passo verso l’allontanamento da quello che eri prima, ma ti stai evolvendo, tutti siamo in costante evoluzione. La nostra musica segue passo passo quello che noi siamo, poco per volta. E quindi abbiamo sempre in maniera molto onesta, seguito questa percezione. Quando siamo in sala prove facciamo quello che in quel momento sentiamo di fare. Questo necessita di un certo tipo di elasticità e intelligenza da parte dell’ascoltatore. Se, invece, rimane troppo ancorato a dei paradigmi o a delle classificazioni estetiche rigide non riesce a stare dietro a questa cosa, e accusa. È vero che riguarda un po’ tutti i gruppi che procedono nel corso del tempo. Tutti i gruppi hanno queste menate, però mi permetto di sottolineare che la pressione sui Marlene è sempre stata molto, molto forte. E trovo particolarmente stupido e sciocco non sentire che c’è buona musica in quello che facciamo. Si può sicuramente pensare che non si sia più in sintonia con determinate cose, ma dire a un gruppo come i Marlene Kuntz “ormai fate musica di merda” è una fragorosa stupidaggine. Poi può piacere o non piacere, questo purtroppo fa parte del gioco della vita, ma se uno analizzasse da un punto di vista strutturale quello che facciamo, la nostra musica è sicuramente molto interessante.

Qual è stato il momento più luminoso e quale il più buio della storia dei Marlene?

Di momenti luminosi ce ne sono stati, ogni volta che abbiamo ricevuto attestati di stima dai nostri colleghi, sia italiani che stranieri, che noi a nostra volta stimiamo molto. Penso a Paolo Conte, a Skin, a Warren Ellis il violinista di Nick Cave, a Rob Ellis il batterista di PJ Harvey, penso a Filippo, il figlio di Ivan Graziani, di cui abbiamo fatto una cover, penso a Federico Fiumani dei Diaframma, penso alla PFM, che ha amato molto la nostra versione di Impressioni di Settembre. Penso a questo e sento una enorme gratificazione, perché ci sentiamo apprezzati da persone competenti, che sanno valutare quello che stiamo facendo.
Il momento buio, beh credo che l’avvento di Internet abbia creato molto disorientamento da parte di tutti noi, avvezzi a un altro sistema. Abituarsi alla gratuità della musica, al fatto che i tuoi dischi tu non li vendi più, non è semplice. Vuol dire doversi riadattare, ma è il segno dei tempi. Il mondo va in questa direzione. Tutto quello che uno dà per scontato nella sua professione o impostazione di vita, non è duraturo per molto. Un buon insegnamento da dare ai propri figli è proprio questo: imparare ad essere sempre mutevole, perché il mondo è in trasformazione, sempre. Il momento difficile è quello: accettare che devi ripartire da zero.

La scorsa estate siete stati a Rimini in occasione della manifestazione Porto Sicuro, cosa pensi della questione dei profughi?

Sicuramente per quello che mi riguarda ora vivo un po’ meglio, non ho più l’assillo di chi sta vivendo un incubo. Mi sembra che ci sia meno agitazione, meno propensione alle esplosioni dell’insofferenza e della cattiveria della gente e questo si riverbera anche sulla faccenda complicatissima delle immigrazioni. Noi sicuramente eravamo indignati e torneremo indignati ogni volta che si lascerà qualche persona a poche miglia da una costa che rappresenta la salvezza, su una nave, per giorni interi di terribile calore, dopo un viaggio penoso e difficile perché il politico di turno, per propaganda, li lascia marcire fregandosene dell’empatia e della compassione verso la sofferenza altrui. Non vogliamo un mondo dove ci si dimentica delle sofferenze degli altri, almeno quelle che abbiamo sotto agli occhi. Perché poi in questo momento, mentre io sto parlando, di sicuro nel mondo c’è tanta gente che soffre ingiustamente. Noi non siamo santi, non siamo capi-popolo, ma siamo persone con un po’ di senso di umanità dentro. E quando sulle nostre coste accadono cose di questo tipo, che si respinge un porto a chi è in difficoltà, non ci piace.

In alcune interviste hai parlato della figura di Nuto Revelli, che ha combattuto per sconfiggere un regime dittatoriale, e quest’anno siete usciti con la vostra Bella Ciao. Mi sembra che qualcosa, nel modo di porsi dei Marlene sia cambiato rispetto al passato. Quanto è importante per te, oggi, che un artista sia anche politicamente attivo?

Quando facciamo determinati post, lo facciamo perché ci sentiamo talmente tanto ribollire il disagio e l’indignazione che avendo noi un pubblico a cui poter parlare siamo chiamati in maniera impulsiva ad andare là fuori, verso il mondo, e dire: “ragazzi, ci piace quello che sta accadendo? È normale? Vogliamo davvero finire in una situazione di questo tipo, in un mondo diviso e malmostoso?”.
Noi lo facciamo perché riteniamo che sia un dovere, per chi ha un pubblico, contribuire alla riflessione anziché dividere le persone con delle affermazioni che non lasciano diritto di replica.
Quindi siamo cambiati in questo senso. Che poi, non so se noi siamo cambiati oppure no, è la società che è cambiata. Il contesto sociale è cambiato. Impone un’urgenza. A me sembra naturale pensare che sia brutto un mondo incattivito, ma ci sono persone che sono pronte a prenderti in giro se tu la pensi così. E proprio questa predisposizione a prenderti in giro è già emblematica di un mondo strano, che non ci piace. Dovrebbe essere condivisa da tutti l’idea di non vivere in un mondo diviso.

Nel tuo libro, Nuotando nell’Aria, dici che Catartica era il disco che rischiavate di non fare. Ai tempi il tuo sogno era di diventare un musicista rock nella vita, ma quella era l’ultima possibilità che vi eravate dati. Cosa consiglieresti a chi sogna di seguire la strada della musica oggi?

Di seguire il proprio istinto, ma analizzare e capire quanto questo è pervaso da una esigenza vitale o quanto lo è invece da un’esigenza di comodo. Se è un’esigenza vitale ognuno poi, in base al proprio istinto, si spinga fin dove ritiene di doversi spingere. Io ritengo che inseguire il sogno di diventare una rockstar a trentacinque, quarant’anni, sia sbagliato perché a trentacinque, quarant’anni ci sono pochissime chance di diventare ancora delle rockstar. Però può accadere. Quindi che ognuno pensi a valutare quello che l’istinto gli dice. Di sicuro serve un po’ di maturità e di consapevolezza. Seguire i sogni ma con i piedi per terra.

E, secondo te, i talent possono essere una strada da perseguire?

Qualcuno c’è riuscito. Due o tre band hanno agguantato un successo importante, poi sono tutti gruppi o cantanti che capiscono in fretta che non è la gloria definitiva, ma che da lì in avanti bisogna continuare a lavorare. Ed è un po’ un ritornare a quel “sognare con i piedi per terra”. Il successo che arriva non è garanzia di una svolta definitiva, è l’inizio di un altro tipo di lavoro.

Tu lo faresti mai il giudice in un talent?

Se mi pagassero bene, potrebbe anche essere. Ci dovrei riflettere, ma non me lo precluderei perché aiuterei a capire che per i musicisti si è fatta particolarmente complicata la faccenda e quindi è un’occasione per lavorare e lavorare poi, dopo, in maniera artisticamente inappuntabile.

La prossima settimana uscirà l’ultimo disco di Nick Cave, Ghosteen, immagino che quello finirà dritto dritto tra i tuoi prossimi ascolti. Che musica ti piace in questo momento?

Con Nick Cave sarò molto concentrato, ovviamente! Ultimamente ho ascoltato i White Lies, che sono stati con noi al Cinzella Festival. Non li conoscevo bene, ma dopo aver sentito il loro disco posso dire che hanno un suono abbastanza accattivante.


La furia dei vent’anni potrà anche essersi calmata, ma la lotta non è ancora finita per Godano e i suoi Marlene Kuntz. Negli anni ci hanno abituati alle loro continue mutazioni ed è impossibile dire cosa potrà riservare il futuro. L’unica certezza è che ancora oggi sono, per fortuna, capaci di scrivere belle canzoni.

A cura di:
Daniela Fabbri

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Daniela Fabbri

Sono nata nella ridente Rèmne, Riviera Romagnola, nel 1985. Copywriter. Leggo e scrivo da sempre. Ho divorato enormi quantità di libri, ma non solo: buona forchetta, amo i racconti brevi, i viaggi lunghi, le cartoline, gli ideali e chi ci crede. Nutro un amore, profondo e viscerale, per la musica, in tutte le sue forme. Sono fermamente convinta che ogni momento della vita debba avere una colonna sonora. Potendo scegliere, vorrei che la mia esistenza fosse vissuta lentamente, come un blues, e invece sono sempre di corsa. Mi piacciono gli animali. Cani, gatti, procioni. Tutti.

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