La Municipàl: i difetti ci rendono unici

La Municipàl: i difetti ci rendono unici
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La Municipàl sono Carmine e Isabella Tundo, fratello e sorella, e il 2019 è stato per loro davvero un anno speciale. Sul palco del “concertone” del Primo Maggio a Roma per la seconda volta, tantissime date live in giro per l’Italia e il loro ultimo disco, Bellissimi Difetti, uscito la scorsa primavera.

A Galatina, la loro città d’origine, non esistono solo pizzica e taranta, ma anche artisti che continuano a fare musica senza spostarsi nei grandi centri. Proprio in provincia infatti, per contrastare l’atavico “periferismo” rispetto le avanguardie culturali delle grandi città e l’accidia nella quale è facilissimo piombare, la creatività instilla il suo seme.

Qualche giorno fa ho fatto due chiacchiere con Carmine e mi sono fatta raccontare qualcosa in più, su questa vita in provincia e sulla voglia di imperfezione.

Carmine, ascoltando i pezzi de La Municipàl salta subito all’orecchio il vostro gusto per la narrazione, scrivete e non parlate per slogan. Vi rifate alla tradizione del nostro cantautorato storico. Come gestite il processo creativo?

I nostri pezzi nascono per un’esigenza artistica, di comunicazione, ed è per questo che sono così descrittivi. Parlano di fatti reali. Molto spesso sento il bisogno di raccontare una determinata storia. Semplicemente sono episodi accaduti, nudi e crudi. Parlano di alcune esperienze private che poi successivamente ognuno può fare proprie e interpretarle come preferisce.

Nei vostri pezzi ci sono spesso richiami verso il passato, anche attraverso alcuni oggetti come le polaroid. Si avverte una nostalgia verso quello che non c’è più, qualcuno direbbe “retromania”. Da dove arriva questo sentimento?

Sicuramente da ricordi e da una nostalgia di fondo che ci contraddistingue. Sono sempre stato una persona che si rifugia nel passato, ed è proprio quel sentimento forte di nostalgia che mi spinge poi a raccontare determinate cose.

Per contrapposizione, nel mondo digitale, che potenziale vedi per i giovani artisti che cercano di emergere?

Sicuramente ora è più facile entrare in contatto con un pubblico molto più ampio, perché si è tagliata la distanza che c’è con l’ascoltatore. Oggi basta caricare i propri brani su una piattaforma digitale e chiunque può ascoltarti, in qualsiasi parte del mondo. C’è però un aspetto che fa parte della promozione e della fruizione della musica che invece è molto più complicato. Il mezzo tecnologico ha abbattuto la distanza con l’ascoltatore e aiuta, soprattutto all’inizio, quando non hai modo di farti ascoltare. Non si può però trascurare tutta la parte del live e dello stare in giro a suonare, che deve essere portata avanti. Altrimenti saremmo solo delle entità digitali.

Proprio parlando di concerti, il live è un’esperienza di intimità, un incontro ravvicinato e di contatto tra l’artista e il suo pubblico, di condivisione e scambio reciproco. Come lo vivete?

Per noi suonare dal vivo significa mettersi a nudo davanti all’ascoltatore, perché i nostri brani sono intimi e personali. Soprattutto nel primo periodo della band avevamo un po’ di vergogna e di disturbo nel dover suonare, proprio perché ti spogli completamente. Poi abbiamo capito che ognuno, nel pubblico, dà un significato al brano e lo rende proprio. Diventa un momento di condivisione tra noi e chi viene ad ascoltarci. È come se chi partecipa ad uno dei nostri concerti ci conoscesse anche un po’ come persone, perché gli raccontiamo all’interno delle canzoni alcune cose di noi. Un po’ come se ci fosse un’amicizia, un legame, tra noi sul palco e il pubblico.

Ma parliamo un po’ del vostro ultimo disco, che ha un titolo che mi piace molto: Bellissimi Difetti. Oggi essere imperfetti è un atto rivoluzionario. In un’epoca in cui bisogna essere perfetti a tutti i costi, l’imperfezione è un modo per affermare se stessi e la propria unicità. Cosa significa per voi?

Con Bellissimi Difetti abbiamo fatto un percorso interiore che ci ha portati a capire che i difetti sono quello che ci differenzia, che ci rende unici. Non sono qualcosa di negativo. Quando sei più giovane, anche per essere accettato dagli altri, cerchi di assomigliare a un modello. In realtà poi, attraverso un percorso di accettazione capisci che è proprio un “difetto” che ti rende unico e diverso dagli altri. Stando bene con se stessi si può stare bene anche con gli altri, soprattutto in un periodo storico così pieno di conflittualità.

La musica, secondo te, può nascere da un’imperfezione? Un testo che non esce come dovrebbe, o diverso rispetto a come l’hai pensato inizialmente, o magari da una melodia che non ti convince? Può partire in quel modo lì, una scintilla creativa?

Assolutamente sì. Soprattutto in questo ultimo disco abbiamo cercato di conservare la prima idea creativa, giusta o sbagliata che fosse. Tecnicamente, nelle registrazioni, abbiamo cercato di mantenere quei piccoli errori, senza correggerli, che poi hanno dato un suono più particolare all’album. Ad esempio, alcune take che non erano tecnicamente perfette nelle registrazioni le abbiamo volute lasciare all’interno dei brani, proprio per disseminare l’album di quei “piccolissimi difetti” che ti danno una caratteristica.

La Municipàl
La Municipàl
Nelle vostre canzoni, a volte, la città natale o più in generale la provincia rappresenta un luogo da cui scappare e verso il quale si fa ritorno. Cosa significa per voi “la provincia”, vi fermereste stabilmente?

Io sono sempre vissuto in provincia, a parte alcuni percorsi che mi hanno portato lontano per qualche periodo. È una scelta di vita quella di non scappare ma cercare di costruire qualcosa partendo da questi luoghi. Se scappano tutti è difficile poter costruire delle realtà differenti, soprattutto al sud, dove ci sono intere città che si spopolano. I miei migliori amici lavorano al nord, nostra sorella lavora a Milano, spesso quello che offre la nostra terra è poco. Però c’è anche l’altro lato della medaglia, quello delle persone che cercano di rimanere, per costruire qualcosa e mantenerla viva.

Nei vostri lavori, e mi riferisco soprattutto a pezzi come Mercurio Cromo o Funerali di Ivan, c’è spesso un senso della perdita, di qualcosa che viene inevitabilmente lasciato indietro: un ideale, un amore, gli amici, la giovinezza. Andando avanti con gli anni, quali diventano le perdite più dolorose?

La perdita di un amico, di un ideale o di una parte di noi stessi che credeva in qualcosa. C’è anche il cambio di una prospettiva quando si staccano dei pezzi che successivamente capiamo essere superflui, per acquisire una visione nuova di noi stessi, soprattutto dopo una fase di sbandamento. Nella fase dai 20 ai 30 anni non sei a fuoco, hai ancora un sacco di strade aperte e molta confusione. Sicuramente quando chiudi alcune di queste strade riesci anche a mettere in ordine dei tuoi pezzi interiori.

Quindi questa perdita non è qualcosa di totalmente negativo. Può anche essere vista come una liberazione?

Sì. Fa crescere, toglie di dosso qualcosa che fa male. Ti libera il cervello e ti fa vedere tutto il resto da un’altra prospettiva.

In generale, parlando dei tuoi ascolti e delle tue ispirazioni, che musica ti interessa?

Proveniamo da panorami musicali molto vari. A me personalmente piace ascoltare musica strumentale. Amo molto Yann Tiersen o Hans Zimmer, mi piace ascoltare musica dove c’è pochissimo testo e dove posso viaggiare anche a livello mentale, senza dovermi sentire legato ad una forma di racconto. Poi ovviamente ascoltiamo anche molti cantautori, ma in questa fase qui mi piace ascoltare musica strumentale.

Chi l’ha detto che per ritagliarsi il proprio posticino nel mondo della musica bisogna per forza vivere a Milano e Roma? Carmine e Isabella hanno scelto la strada più difficile, senza allontanarsi dalla culla che li ha cresciuti e raccontando in italiano, con romanticismo e malinconia, storie reali ed episodi di vita vissuta. In bocca al lupo a La Municipàl allora, al loro coraggio e ai Bellissimi Difetti!

a cura di
Daniela Fabbri

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Daniela Fabbri

Sono nata nella ridente Rèmne, Riviera Romagnola, nel 1985. Copywriter. Leggo e scrivo da sempre. Ho divorato enormi quantità di libri, ma non solo: buona forchetta, amo i racconti brevi, i viaggi lunghi, le cartoline, gli ideali e chi ci crede. Nutro un amore, profondo e viscerale, per la musica, in tutte le sue forme. Sono fermamente convinta che ogni momento della vita debba avere una colonna sonora. Potendo scegliere, vorrei che la mia esistenza fosse vissuta lentamente, come un blues, e invece sono sempre di corsa. Mi piacciono gli animali. Cani, gatti, procioni. Tutti.

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