I Canova e il loro modo di farci sentire “Vivi per sempre”

I Canova e il loro modo di farci sentire “Vivi per sempre”
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Ecco “Vivi per sempre”, il nuovo album dei Canova.

Immaginate un ragazzo nei corridoi della scuola con un foglio in mano alla ricerca di qualcuno che voglia suonare insieme a lui i pezzi dei Beatles e immaginate quello stesso ragazzo che ad oggi, senza scendere a compromessi e lottando contro ogni possibile rifiuto o tentativo di omologazione, ha deciso anni fa di intraprendere una strada che ha seguito sapendo che nella vita non avrebbe potuto e voluto fare altro se non suonare.

Quel ragazzo è Matteo Mobrici leader di una band che non è solo una semplice band, è molto di più. E’ unione, è amicizia, è forza, è coraggio ed è il frutto di anni e anni di impegno, gavetta e amore per ciò che si fa. Sto parlando dei Canova, anche se parlare di questi ragazzi cercando di descrivere al meglio ciò che sono in grado di scatenare con la loro musica non è cosa facile, perché rientrano in quella categoria rara di artisti con una costante che li contraddistingue da tutto il resto: non rendono mai meno di ciò che sono e valgono.

Due album (targati Maciste Dischi) come Avete ragione tutti e Vivi per sempre in grado di rispecchiare completamente tutto ciò che gira intorno alla nostra generazione, due album ricchi di vita che si tocca con mano, due album veri attraverso i quali Matteo racconta di stati d’animo e viaggi introspettivi capaci di scuotere in maniera prepotente ciò che abbiamo dentro e che spesso non riusciamo a descrivere con le parole giuste. Ecco qual è la sua dote naturale: riuscire ad imprimere su carta quello da cui scappiamo, quello che ci fa paura o semplicemente quello che ricordiamo. Scrive d’amore, di sogni, di illusioni e lo fa con una sana malinconia, quella che ti fa riflettere, quella che ti prende con un nodo in gola o nello stomaco, ma che ti prende.

Se dovessi associare una parola a Matteo, sceglierei proprio questa: verità, verità in tutte le sue sfumature. Ha il grande dono di riuscire a toccare ogni singola corda dell’anima e lo fa passando attraverso una vena talmente intima da far fallire ogni tentativo di estraneità a quello che è il suo mondo, quello stesso mondo che diventa di chiunque porti con sé empatia e rifiuto per la parola dimenticare. Matteo è un selezionatore di parole giuste, che allinea perfettamente.

Negli anni i Canova hanno costruito un bel mondo e di strada ne hanno fatta dalle prime esibizioni live quando temevano che nessuno si presentasse ai loro concerti, fino ad arrivare ad oggi che stanno per concludere il loro bellissimo tour partito proprio nella loro città di origine: Milano, che domani 7 settembre li ospiterà per un grande festa al Circolo Magnolia con un’evento unico “Milano per sempre” un’occasione per salutare i fan prima di ritirarsi a lavorare sulle novità del 2020. Tra gli ospiti ci saranno altri due grandi nomi di casa Maciste: Gazzelle e Fulminacci.

Ho avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Matteo in una tipica Domenicamara

Ecco cosa mi ha raccontato.

A 15 anni volevi mettere insieme una cover band dei Beatles, a 30 anni sei il front-man dei Canova, è un po’ come se tu fossi nato con questo sogno, chi era Matteo prima di diventare il leader dei Canova e cosa facevi?

Io faccio musica da quando ho 18 anni ovviamente ci sono stati tanti anni di gavetta e prima non era come adesso. Sicuramente la testardaggine e anche un po’ di arroganza hanno fatto in modo che le cose prima o poi andassero bene. Noi avevamo tanti amici che avevano band, magari molto più fighe di noi, suonavano punk-rock inglese o altre cose dell’indie dell’epoca e noi invece eravamo un quelli “sfigati” perché abbiamo sempre fatto canzoni italiane e pop quindi eravamo visti un po’ male. Quando abbiamo iniziato era il periodo delle cover band e quando andavo nei locali a chiedere disponibilità per suonare ci chiedevano le cover e noi abbiamo sempre combattuto con questa cosa.

Alla fine tutte le altre band con le quali siamo cresciuti non sono più andate avanti, perché forse va avanti uno su duecento, ma nel nostro caso sacrifici e lotte hanno fatto in modo che si andasse avanti, nonostante ci siano state un sacco di porte chiuse. Ogni volta che ricevevamo un “no” poi diventava un “sì”. Finita la scuola avevo cercato un’università nel mondo dello spettacolo e del teatro, in modo da avere un po’ di cultura (che penso l’università debba dare a prescindere dal foglio di carta che poi rilascia) e poi studiando riuscivo ad avere i miei spazi per scrivere le canzoni e fare concerti la sera. È durata 7 anni ma non è mai finita perché sapevo che ce l’avremmo fatta, era solamente un tempo di attesa, in pausa prima di realizzare ciò che avrei voluto davvero per me.

C’è stato un momento in cui hai pensato “Basta lascio perdere” un momento di sconforto o l’idea di abbandonare il progetto di questa band?

Questo lo penso ancora oggi, nel senso che questo non è un mestiere che ha una vittoria finale, non c’è un premio neanche quando arrivi a riempire uno stadio, perché poi dovrai riempirlo ancora. Credo sia una sorta di scala in salita, è una vita abbastanza “sul filo” fatta di canzoni che scrivi e una canzone potrebbe essere l’ultima, potrebbe essere la più bella o la più brutta, però il bello è anche questo… dipende tutto da te. E’ un ambiente molto meritocratico, puoi giocare quanto vuoi ma alla fine parlano i fatti. Poi ovviamente è tutto all’ordine del giorno, può succedere qualsiasi cosa e cambia la vita. Ma va bene così…

Scrivere è mettersi a nudo e in qualche modo tu hai questa ipersensibilità che ti porta a descrivere ciò che senti in modo totalizzante. Hai mai sentito il peso del “dover scrivere” ma soprattutto hai mai avuto dei blocchi o dei momenti in cui ti sei detto “Non ho più nulla da dire”?

A volte succede ma è una questione di giorni, nel senso che quando poi scrivere diventa il tuo primo pensiero appena sveglio, ogni giorno vai alla ricerca di qualcosa da mettere nero su bianco e ci sono anche giorni di totale apatia. Io a dire il vero la vivo come se fosse un po’ una croce perché per me è una sofferenza. E’ una cosa che viene fuori in maniera naturale e spontanea, ma non è sempre piacevole soprattutto quando attraverso le canzoni scopri che c’è qualcosa che non va. Alla fine le canzoni sono fatte di parole che nella vita non dici o non riesci a dire per descrivere uno stato d’animo o un sentimento e quando poi hai davanti a te una canzone finita è un po’ una meraviglia. Non c’è né una formula, né regole da seguire e ogni volta è una sorpresa.

Dalla voglia di farcela ad ottenere risultati importanti o semplicemente vedere la propria faccia proiettata in via Torino in formato gigante per annunciare l’uscita del nuovo album, qual è la sensazione e la vera soddisfazione?

Io sono andato a vedere la mia faccia 5 minuti e in quei 5 minuti c’erano giapponesi e tedeschi che mi hanno riconosciuto e hanno capito che quello sul cartellone ero io ed è stato un momento abbastanza imbarazzante. Né io né gli altri abbiamo mai cercato di fare questo nella vita per popolarità e fama, è una delle parti di questa vita da musicisti alla quale si può tranquillamente rinunciare. Per me la vera soddisfazione è quando ai concerti trovi persone che non conosci e che sanno a memoria tutte le canzoni o quando arrivano dei messaggi particolari dove percepisci di aver toccato davvero delle corde importanti. Le persone capiscono quando una cosa è diretta e vera e la soddisfazione più grande è proprio la riconoscenza del pubblico.

Riesci ancora a stupirti di quella che ormai è diventata la tua, la vostra realtà o c’è il rischio che alla fine molte cose diventino scontate?

Il giorno in cui dovessi arrivare alla noia non lo farei più. Smetterei. Nulla è metodico, ogni concerto è un concerto a sé, ogni canzone è una nuova canzone ed è come avere sempre una pelle nuova. E’ una cosa molto stimolante e anche divertente per certi versi, perché non la viviamo come un lavoro ma come una passione condivisa tra amici ed è una passione appagante.

Siete tra gli artisti di Maciste Dischi, un’etichetta che negli ultimi anni ha davvero fatto “centro” con tanti nomi attualmente presenti nella scena musicale italiana. Com’è nata la vostra collaborazione, ma soprattutto secondo te è davvero tutto così Indie?

La verità è che io e Antonio Sarubbi di Maciste dischi siamo praticamente cresciuti insieme e il nostro è stato un incontro professionale nato da un’amicizia e una profonda stima. Ha creduto nel nostro progetto e con lui abbiamo pubblicato il nostro primo disco “Avete ragione tutti” con il quale poi è partito tutto quello che stiamo vivendo oggi. Siamo cresciuti insieme, sbagliando anche insieme quindi è un legame che va al di là di tutto perché è un po’ come se fossimo nati entrambi “in garage” e poi siamo diventati grandi e questo è un valore aggiunto importante.

Per quanto riguarda l’indie, la parola “indie” non è mai uscita dalla mia bocca, io penso che le nostre canzoni sarebbero potute uscire anche 15 anni fa perché rispettano la tradizione del cantautorato italiano. La nostra fortuna è che siamo usciti in un momento storico in cui sono usciti tanti altri e ci siamo ritrovati tutti insieme racchiusi in questo grande contenitore.

È una parola nata per un cercare un nostro campo, visto che il pop era stato rovinato dai Talent-show ed è nata una sorta di generazione che è partita suonando nei piccoli locali fino a farsi spazio ad oggi nei palazzetti. L’indie è un po’ un’etichetta di questi ultimi anni, con un linguaggio più vicino al parlato e meno aulico.

Avete annunciato una data importante il 7 settembre a Milano che sarà una sorta di arrivederci, cosa dobbiamo aspettarci?

Sarà una data molto importante perché Milano per noi è casa. È la città che viviamo di più e a marzo siamo partiti proprio da lì con il nostro tour e ci piaceva l’idea di chiudere proprio nello stesso punto da cui eravamo partiti. Non staremo tanto fermi, sarà un saluto breve che porterà tante novità. Una fine per un nuovo inizio.

Ultima domanda: mi vuoi sposare?

Poi vediamo.

Amo la musica vera, quella che ancor prima di ascoltare sai già che non ti deluderà proprio perché arriva da una fonte certa. Arriva da qualcuno che non suona solo per finire in una classifica di Spotify o per un po’ di notorietà in più.

Vivi per sempre non è solo il titolo del loro ultimo album, è quello che trasmettono. Forse è come si sentono loro, quello che non sanno forse è che è soprattutto come fanno sentire noi attraverso la loro musica.

a cura di
Claudia Venuti

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Claudia Venuti

Claudia Venuti nasce ad Avellino nel 1987, a 14 anni si trasferisce a Rimini, dove attualmente vive e lavora. Oltre ad essere il responsabile editoriale della sezione musica di TheSoundcheck, è responsabile dell’area letteratura dell’ufficio stampa Sound Communication. Studia presso la Scuola Superiore Europea di Counseling professionale. Inguaribile romantica e sognatrice cronica, ama la musica, i viaggi senza meta, scovare nuovi talenti e sottolineare frasi nei libri. Sempre alla ricerca di nuovi stimoli, la sua più grande passione è la scrittura. Dopo il successo della trilogia #passidimia, ha pubblicato il suo quarto romanzo: “Ho trovato un cuore a terra ma non era il mio” con la casa editrice Sperling & Kupfen del Gruppo Mondadori.

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