Diario di una Band – Capitolo Sette
“Non vivo la crisi di mezza età dove “dimezza” va tutto attaccato
Voglio essere superato, come una bianchina dalla super auto
Come la cantina dal tuo superattico
Come la mia rima quando fugge l’attimo
Sono tutti in gara e rallento, fino a stare fuori dal tempo
Superare il concetto stesso di superamento mi fa stare bene”
Caparezza
Che sia la forza di un concetto, la vita presa di petto, un desiderio, un sospetto
Che sia la forza di mille comete, continuare a bere di gusto dopo aver sedato la sete
Che sia toccare per davvero la luna, quando anche le stelle prima o poi ci porteranno fortuna
Che sia un fiume in piena alla luce dell’alba, in mezzo al casino gestire la calma, col peso di piuma
sfiorare la calca, combattere il male con un colpo d’anca
Che sia la birra gelata dopo il lavoro serrato, il dovere gestito con tocco fatato, un tocco di fino, un
gol su punizione, colpendo la porta e il tifoso nel cuore
Che sia prospettiva e rimprovero onesto, l’immensità sacra nella vittoria di un gesto
Che sia una montagna all’occhio profana, scalare la vita con rabbia puttana, una roccia che fa da
scalino alla notte, il whisky perfetto proteggendolo in botte
Che sia lo sviluppo di una pace maggiore, quando l’universo si presenta come il vero Signore
Che sia marmellata sbordante sul pane, il sospiro finale sul punto di atterrare
Che sia un ballo stupido ma pieno di vita, gli applausi che fanno bruciare le dita, come fiori di luce
sparati da un mitra, bello come Marco Pantani in salita
Che sia un viaggio lungo e non scarno di ostacoli, afferrare la curiosità con mille tentacoli,
custodire i segreti del vino e degli acini, il sacrificio perenne della schiena degli asini
Che sia un’esistenza colorata di rosso, del tramonto, del sangue, debellare il “non posso”
Che sia un passo veloce, spedito e raggiante, che sia comunicare con tutte le piante, una corsa
infinita sull’otto volante, una risata da lacrime dal frastuono incessante
Che sia non avere buttato via il tempo, l’aver costruito mantenendo il fermento, anche quando ero
spento, anche quando dalla finestra vedevo solo cemento, quando la paura superava l’intento,
quando ho scelto un animo attento, quando ho deciso di comandare il vento
Che sia frustrazione quando si fallisce il bersaglio, cadere e ogni volta e fomentare il bagaglio,
magari curare il dettaglio, credere a un abbaglio e godere dello sbaglio se placherà il travaglio
Che sia legittima intesa, che sia una guida tenace e distesa, lontano da offesa, offesa verso il
pensiero totale, lontano dallo sporco inconcepibile del mare
Che sia un’abbuffata di more nel bosco, una voce mai udita che però riconosco, un’ossessione erotica dal profilo un po’ losco
Che sia leggiadria della mano sul manico, di basso, di chitarra, soppiantare il rammarico, un cannone di musica perennemente carico, incrociare lo sguardo dopo l’attesa sul valico, che sia un onesto “ragazzi ora niente panico”
Che sia lo scorrere di mille immagini, di ponti, di corde, distruzione degli argini
Che sia il più schietto vagabondare, l’arte dell’ozio unita a quella di amare, un colpo di sole che fa tentennare, l’onda perfetta su cui ricominciare
Che sia un ritrovo, un patto, un incontro cercato, ritrovare la strada su cui si è camminato, ritrovare lo spirito di un nonno ormai andato, far brillare il suo sguardo ancor determinato
Che sia finire la storia di chi non c’è riuscito, stringer mano alla vita ed accettarne l’invito, il patrimonio invisibile di chi l’ha capito, la libertà reticente di chi non può aver finito
Che sia la nuvola che soddisfi ogni mia sete, che sia il fuoco che sorregga le scelte mie incomplete, che sia la spinta verso il vuoto, che l’acquario dove nuoto, non accontentarsi della sufficienza, che sia un matrimonio con la determinazione e con la pazienza.
La speranza, come un compartimento stagno deve essere sempre presente, come un nucleo operativo centralizzato che coordina le scelte artistiche e non. Fare i conti con i propositi ha velature abbastanza paradossali, il gratificante sentore iniziale, la chimica che interagisce sul corpo dando sventagliate di compiacimento e soddisfazione, per poi elaborare l’idea e pensare in mezzo secondo a come sviluppare il proposito all’atto pratico. Sicuramente scrivere canzoni può avere il rovescio buono della medaglia, non essendoci una legge scritta e immacolata su come comporre brani.
Si può mettere in mostra la propria vena anarchica, partendo dal testo, da un soggetto, da una storia, da un giro di chitarra, da un po’ quello che si vuole. E la noia resta davvero alla larga quando si cerca una corrente sempre nuova per fare musica, stimolante e utile anche al fine personale di crescita artistica e perché no umana. Reinventarsi nella forma e nel colore come dicevano i Litfiba, perché è questo fare musica, reinventarsi, stupire se stessi, impressionare se stessi è la chiave di lettura per catturare l’ascoltatore ed il lettore.
Insomma abbiamo passato la vita a credere che si potesse colorare solo dentro alle righe, non uscire dai margini e vedere le sbavature come una proiezione di errore imprescindibile. Non voglio lazzo e non voglio neanche confini, sia in termini artistici che in termini esistenziali. “Combattere” la vita con la curiosità e la necessità fottutamente accesa nello scoprire cosa c’è oltre la montagna è la presa di posizione più romantica e interessante che un singolo individuo può regalarsi.
Significa vivere, non accontentarsi, migliorare chi si ha vicino e migliorarsi.
Vasco Bartowski Abbondanza